Simboli e amuleti dell’Antico Egitto: l’occhio di Ra
Vi è un misto di magia, sacralità e timore quasi reverenziale verso il sonno millenario dei faraoni che hanno alimentato lo spirito d’Egitto e scritto una storia lunga circa 5000 anni. Quella della terra del Nilo è una civiltà che si chiude con la regina tolemaica Cleopatra VII Filopatore ovvero colei “che ama il padre”, meglio conosciuta come Cleopatra, un regno che si intreccia con l’impero romano e il suo condottiero per eccellenza Giulio Cesare, una cultura che riempie con i suoi tesori le sale dei più celebri musei al mondo, dal Louvre di Parigi al British di Londra, dal Metropolitan di New York al Museo Egizio di Torino dove è ospitata la più grande raccolta di reperti archeologici egizia dopo quella, ovviamente, del Cairo. I corredi funerari e persino le pareti delle tombe della Valle dei Re danno lustro all’Archeologico di Firenze, mentre a Berlino la bellezza senza tempo di Nefertiti troneggia al Neues Museum.

Nella cultura egizia, la simbologia era di importanza vitale tanto che la scrittura aveva una sua dimensione sacra e tutto ciò che non era scritto, non esisteva. Cancellare il nome di qualcuno dai papiri, dalle decorazioni o dai sarcofagi, voleva dire decretarne la sua scomparsa e così non si esitava a fare per attuare la damnatio memoriae, come accadde per Akhenaton, padre di Tutankhamon, passato agli annali come il faraone eretico. I simboli si intrecciavano con gli amuleti e immancabilmente con le leggende, di cui l’Antico Egitto e in generale tutto il mondo antico abbondava.

Uno dei simboli più famosi ha proprio a che fare con l’occhio: l’occhio di Horus, diffusamente indicato anche come occhio di Ra, sebbene in origine si trattasse di due rappresentazioni separate che nel corso dei millenni persero la loro distinzione. Il mito narra che dalle lacrime della divinità suprema del pantheon egizio, il dio sole, nacquero le api la prima volta, e gli uomini, la seconda. L’occhio di fuoco di Ra era associato al cobra, mentre quello di Horus al falco: la tiara del faraone era in realtà la combinazione del copricapo bianco del regno dell’Alto Egitto, collegato al falco, alle sorgenti del Nilo e alla luna, e di quello rosso del Basso Egitto, collegato al cobra e al sole che nei geroglifici era raffigurato come un globo, richiamando la sfericità dell’occhio.

Fra gli dei egizi, spesso raffigurati con teste animali, Horus è la divinità con la testa di falco, figlio di Iside e Osiride dei quali la coppia reale era considerata l’incarnazione. Nella dicotomia fra male e bene, fra odio e amore, fra avidità e generosità, Seth è il fratello di Osiride e suo perfetto contraltare che lo uccide con l’inganno per impossessarsi del suo potere, facendone a pezzi il corpo e disseminandoli per tutto l’Egitto. Osiride resusciterà grazie alla sorella Iside, dalla loro unione nascerà Horus e il regno dei morti sarà il suo dominio.
Horus, per vendicare il padre e riappropriarsi del trono usurpato dallo zio, decide di affrontare Seth che nello scontro lo priva dell’occhio sinistro strappandolo in sei pezzi e gettandoli nel Nilo. Ma Toth, il più saggio degli dei legato alla conoscenza e alla scrittura, nonché riferimento di tutti gli alchimisti che verranno a partire dal celebre Ermete Trismegisto, lo ricostruisce per lui sostituendo la parte andata perduta con una divina, permettendogli così di avere la meglio e riportare il regno d’Egitto nell’armonia al fianco di Hathor, la dea della bellezza che diventerà sua sposa.
Inevitabilmente legato al potere regale, l’occhio di Horus, detto udjat che significa per l’appunto integro, nella tradizione egizia è un potente amuleto indossato per ricevere protezione e guarigione: era usato dai vivi, ma anche dalle anime in viaggio verso l’aldilà poiché era consuetudine disseminare di amuleti i bendaggi che avvolgevano la mummia, tanto più numerosi e preziosi quanto più alto era il lignaggio del defunto. Ma non solo. Era dipinto sullo scafo delle navi, e lo è ancora oggi, come segno apotropaico per allontanare i flussi maligni, sui muri delle case e dei templi per tenere lontani i ladri e sul lato dei sarcofagi perché il defunto potesse vedere dall’aldilà, una pratica molto usata soprattutto nel Medio Regno: non era insolito che i saccheggiatori di tombe li sfregiassero per non farsi guardare mentre ne depredavano i tesori, e questo la dice lunga su quanto questo credo fosse profondamente radicato nel popolo egiziano.

L’occhio, che sia di Horus o di Ra, rappresenta dunque il terzo occhio che vede oltre il visibile, trascende il corpo fisico e si eleva a quello spirituale perché simboleggia la vista attraverso l’anima, di cui del resto un proverbio dice che gli occhi ne siano lo specchio, fatta di saggezza e associata alla ghiandola pineale. È l’illuminazione dello spirito risvegliato che, come tale, porta la luce nel buio e l’ordine nel caos, elargisce la vita e nel libro dei morti, riportato sui papiri del corredo funebre prima e direttamente sui sarcofagi poi, è considerato attributo di tutte le diverse forme di divinità, poiché simbolo della luce divina che è maschile e femminile insieme.
“Il Principio dell’armonia è una legge cosmica, la Voce di Dio. Qualunque sia il disordine provocato dall’uomo o da un fortuito incidente naturale, con la protezione dell’occhio di Horus, la natura lasciata a se stessa, rimetterà tutto in ordine per mezzo delle affinità, la coscienza risiede in tutte le cose” recita il libro dei morti, richiamando quello stesso principio cardine rappresentato da Maat, la dea della giustizia con la piuma in testa, e di cui lo stesso faraone era chiamato a fare da garante.
Claudia Chiari
Occhiocapolavoro
Dott. Giuseppe Trabucchi – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica
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