Quando l’occhio fa strani scherzi: le illusioni visive

Quando fissiamo un’immagine statica, come quella della Figura 1, i nostri occhi colgono parti di essa in movimento. Questo tipo d’immagine è quindi in grado di giocare “strani scherzi” al nostro sistema visivo che, possiamo dire, resta vittima di un’illusione. Già il termine Iluṡióne (s. f. dal latino: illusio-onis, “ironia”), richiama alla mente qualcosa di “irreale”, strano e comunque non sempre comprensibile.  Infatti, spesso i nostri occhi vedono cose che il nostro cervello non riesce ad interpretare nel modo corretto, generando in noi confusione.

Fig. 1. "Advancing snakes". Aiyoshi Kitaoka, 2005.

Molto è stato detto e scritto in merito alle illusioni visive; tuttavia, ancora oggi i meccanismi neurofisiologici che ne stanno alla base non sono del tutto chiari. Un piccolo “viaggio” insieme a voi su questo argomento, unito a qualche riflessione scientifica, ritengo possa essere d’aiuto per entrare in un mondo che, lasciatemi dire, è assolutamente affascinante. Per comprendere i fenomeni ottici e i comportamenti neurofisiologici alla base delle illusioni visive dobbiamo necessariamente inquadrare prima la spiegazione di alcuni processi.

Cominciamo con il dire che le illusioni vengono divise in:

  • Ottiche, quando vengono generate da fenomeni naturali.
  • Percettive, quando il nostro sistema visivo (l’occhio e le aree del cervello deputate all’analisi dell’immagine) portano a una falsa interpretazione dell’oggetto che viene osservato.

Delle illusioni ottiche che dipendono da fenomeni puramente fisici abbiamo parlato in occasione dell’articolo sull’Arcobaleno. È quindi arrivato il momento di raccontarvi qualcosa di più di quelle forme d’illusione ottica generate dal nostro sistema visivo.

Anzitutto, come vengono coinvolti l’occhio e il cervello?

L’occhio è la struttura che per prima riceve le informazioni e procede ad una iniziale elaborazione con circuiti neuronali simili in tutte le persone; ciò avviene, come vedremo meglio più avanti, a livello della retina ossia nella pellicola della nostra macchina fotografica (Fig. 2a); il cervello analizza l’immagine che giunge dagli occhi e possiede la capacità di riconoscere, interpretare e apprezzare gli oggetti (Fig. 2b). Questa attività cerebrale è influenzata dall’ambiente che ci circonda, dal nostro interesse, e può quindi essere elaborata in modo differente da individuo a individuo.

In sostanza, la visione ha inizio negli occhi che sostanzialmente possiamo definire come “fotocamere che trasmettono i segnali visivi al cervello, che a sua volta costituisce il “computer” per la definitiva elaborazione delle immagini.

Fig. 2a: Disegno di sezione dell’occhio dell’uomo. L’area arancione rappresenta la retina che riveste la calotta posteriore del bulbo oculare (chiamata pellicola fotografica).
Fig. 2b: Pellicola e macchina fotografica.
Fig. 3a: Le vie ottiche che trasportano lo stimolo luminoso dall’occhio all’area corticale posteriore del cervello deputata all’analisi dell’immagine.
Fig. 3b: micro processore.

Possiamo individuare quindi due tipi di illusioni ottiche:

  • illusioni oculari che dipendono dalle reti neurali presenti nella retina, quindi dall’occhio.
  • illusioni cognitive che dipendono principalmente dalle aree cerebrali deputate alla visione e anche dalla nostra formazione antropologica culturale e dall’esperienza dell’uomo.

Poiché l’argomento è ampio e complesso ho preferito separare gli argomenti in due puntate. Oggi quindi affrontiamo le illusioni appartenenti alla prima categoria, che dipendono – come detto – dall’elaborazione che il segnale luminoso riceve a livello retinico.

La spiegazione di questo tipo d’illusione non è semplice. Troviamo spesso articoli che offrono nozioni di neurofisiologia molto superficiali. Questo, a mio avviso, non rende merito alla grandezza dei meccanismi che sono alla base di questo tipo di percezione visiva.

Vi offro quindi due soluzioni:

  • la prima, proseguire nella lettura dell’articolo che rappresenta una “versione sintetica” della descrizione delle illusioni oculari;
  • la seconda, per i più curiosi e “volenterosi”, integrare l’articolo con la lettura dell’approfondimento sulla neurofisiologia della visione retinica per una spiegazione un po’ più dettagliata di alcuni processi neurofisiologici che generano queste illusioni.

Illusioni oculari

Fig. 4. Griglia di Hermann

Facciamo subito un “esercizio”: osserviamo la griglia di Herman (Fig. 4).

Guardando le linee bianche sullo sfondo scuro, percepiamo l’illusione di macchie grigie nelle intersezioni delle linee bianche, che invece scompaiono curiosamente quando le guardiamo direttamente.

Vi starete chiedendo per quale motivo le macchie svaniscono quando noi fissiamo bene l’immagine.

La risposta sta nel fatto che il centro della retina è specializzato nella visione nitida delle forme, mentre la visione laterale è più sfuocata poiché serve principalmente per l’orientamento e la percezione del movimento (Gerald Westheimer. Specifying and controlling the optical image on the human retina. Progress in Retinal and Eye Research, 25, 19-42, 2006). I campi recettivi per ogni cellula al centro della retina sono molto piccoli – il che ci consente di leggere caratteri piccoli – ma diventano più grandi allontanandosi dal centro. Quindi, quando fissiamo in modo attento e a breve distanza l’incrocio bianco della griglia, i minuscoli campi ricettivi della nostra visione centrale finiscono interamente all’interno dello spazio bianco, con la conseguenza che non c’è differenza tra la linea e l’intersezione; invece, quando la distanza di osservazione è maggiore e la visione è decentrata e quindi le aree centrali ricettive sono abbastanza grandi da corrispondere a larghezza delle linee, si verifica il fenomeno della griglia di Hermann e cioè la percezione di un’area grigia al centro dello spazio bianco (Fig. 5).

Fig. 5. Schema didattico del fenomeno della griglia di Hermann.

Un altro tipo d’illusione ottica deriva dalla percezione del contrasto, capacità neurosensoriale molto importante della quale madre natura ci ha dotato. Nella nostra quotidianità, infatti, non ci troviamo solo a leggere parole e numeri, ma dobbiamo muoverci nell’ambiente in condizioni d’illuminazione non sempre uguali, che spesso non rendono facilmente riconoscibili le forme e gli oggetti che ci circondano e la delimitazione del nostro raggio di azione (cosa che accade quando, ad esempio, dobbiamo scendere i gradini di una scala in forte penombra).  Per muoverci nello spazio “correttamente” abbiamo quindi bisogno del riconoscimento del contrasto che è la capacità di percepire la minima differenza di luce riflessa (luminanza) tra due oggetti o aree che raggiunge il nostro occhio.  Il nostro sistema visivo è sensibile non ai valori assoluti ma ai valori relativi della luminanza. In pratica, è più cruciale per la nostra mente il rapporto tra la luminanza di superfici adiacenti che non i valori assoluti delle superfici prese singolarmente.  Questa capacità è fondamentale per distinguere gli oggetti dallo sfondo. La sensibilità al contrasto è necessaria per stabilire dove finisce un oggetto e ne inizia un altro e rilevare i bordi/le linee di confine. La zona compresa fra due bordi viene percepita come appartenente ad una superficie uniforme, lo spazio “vuoto” viene riempito. Questo è reso possibile dalla proprietà delle cellule gangliari (quelle che ricevono il segnale dai fotorecettori): queste cellule non solo sono attivate dalla luce che arriva sul suo campo recettivo ma sono inibite dalla luce che arriva nelle zone adiacenti (inibizione laterale).

Quanto questo meccanismo neurosensoriale possa influenzare il nostro modo di vedere e di percepire in modo illusorio ciò che osserviamo è ben rappresentato dalle due immagini che trovate di seguito. La prima è la celebre scacchiera di Adelson.

Fig. 6. Scacchiera di Adelson.

Adelson è un neuroscienziato americano, attualmente professore di Scienze della Visione al Massachusetts Institute of Technology, che ha costruito una scacchiera dove i due quadrati segnati con le lettere A e B, per quanto possa risultare strano, hanno esattamente la stessa tonalità di grigio (Fig. 6). La prova si può ottenere copiando e incollando in un qualunque programma di editing le immagini dei due quadrati (E. Adelson. Lightness perception and lightness illusion, in The New Cognitive Neurosciences 2nd edition, Ed. M. Gazzaniga, (Cambridge, MA: MIT Press) 339–351, 2000.

Il nostro sistema visivo cerca di determinare il grado di grigio dei quadrati della scacchiera. Partendo dal presupposto che una superficie bianca in ombra riflette meno luce di una superficie nera in piena luce (E. Adelson, D. Somers, “Straightness, structure, and shadows” Journal of Vision 1:204-205, 2001), per decidere dove sono le ombre e come compensare la loro presenza per determinare la tonalità di grigio della superficie, il nostro sistema visivo deve ricorrere ad uno stratagemma. Sia in condizione di luce che di ombra un quadrato più luminoso dei quadrati vicini è probabilmente più luminoso della media e viceversa. Nella nostra illusione il quadrato chiaro in ombra (B) è circondato da quadrati neri. Questo fa sì che, nonostante il quadrato sia fisicamente scuro, esso appaia più luminoso se confrontato con quelli vicini. Al contrario i quadrati neri, esterni all’ombra proiettata dal cilindro verde, (come il quadrato A) sono circondati da quadrati più luminosi e appaiono nel confronto relativo come più scuri.

Un esempio ancora più semplice è il contrasto simultaneo di Hering (Fig. 7), dove tra i due quadrati grigi centrali quello a sinistra appare più scuro rispetto all’altro. Rimuovendo quadrati esterni, i due interni risultano uguali al confronto; ciò in quanto i nostri circuiti retinici sono scarsamente attrezzati per giudicare l’assoluta luminosità delle varie “forme grigie” considerate isolatamente ma sono fortemente stimolati dal contrasto. In sostanza, è la situazione di contrasto che fa percepire al nostro cervello più “scuro” il quadrato centrale circondato da un quadrato più chiaro (F. A. Kingdom, “Levels of brightness perception”, in Levels of Perception. Editors: L Harris, M. Jenkin. (New York Springer, 23–46, 2003).

Fig. 7. Contrasto simultaneo di Hering.

Concludo questa carrellata di esempi di illusioni visive con l’immagine dei serpenti rotanti (Fig. 8); si tratta di una delle illusioni ottiche più famose tra quelle realizzate dal professore Akiyoshi Kitaoka del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Ritsumeikan. Indagare l’opera di Kitaoka significa entrare in pieno nel mondo delle illusioni ottiche, in quanto fa emergere fenomeni di alterazione della percezione visiva o di devianza dal modo corrente in cui vengono “interpretate” le immagini della realtà fisica e sensoriale (Renier, Bruyer e De Volder, Vertical-horizontal illusion present for sighted but not early blind humans using auditory substitution of vision, Perception & Psychophysics, 68, 535–542, 2006).

Fig. 8. Muovendo lo sguardo all’interno della figura, si ha l’impressione che i cerchi nella vista periferica dell’immagine ruotino.

Nell’immagine sono presenti 4 circonferenze sovrapposte. Ciascuna circonferenza presenta al suo interno altre circonferenze concentriche, tutte suddivise in settori regolari convessi (gialli e blu) e concavi (bianchi e neri), intervallati. Il nome dell’illusione deriva dal fatto che osservando l’immagine si percepisce un movimento rotatorio delle suddette circonferenze, in maniera similare a quanto possono fare le spire di un serpente. Possiamo notare come al diminuire di diametro delle circonferenze concentriche diminuiscano le dimensioni delle sezioni alternate, creando un effetto di contrasto luminoso sempre maggiore. Infine, è evidente come in “serpenti” adiacenti sia presente un differente alternarsi dei settori colorati.

L’effetto di movimento è generato dalla differenza di luminosità tra le varie parti dello schema, ad esempio nello schema basico (Fig. 9) che segue il movimento illusorio tende ad apparire nel passaggio da un’area più scura ad un’adiacente area grigio-scura oppure da un’area bianca ad una grigio-chiara.

Fig. 9. Schema illustrante il movimento illusorio che tende ad apparire nel passaggio da un’area più scura ad un’adiacente area grigio-scura oppure da un’area bianca ad una grigio-chiara.

In realtà, il movimento è determinato puramente dall’azione umana; infatti, si tratta di un’illusione di tipo statico, che non presenta nessun tipo di animazione o di movimento (Murakami, I.; Kitaoka, A.; Ashida, H. “Artificial image oscillation enhances the rotating snakes illusion” Journal of Vision, 551-554, 2010. Journal of Vision). Nella fattispecie i movimenti in questione sono dipendenti dal movimento oculare effettuati dall’osservatore dell’immagine. I nostri occhi passano repentinamente e inconsultamente da un punto all’altro dell’illusione nel tentativo di equilibrare lo stacco di luminosità (e non di contrasto) fra le sezioni alternate. Queste ultime sono disposte secondo un preciso ordine per cui l’occhio si muove procedendo dalle parti più chiare verso quelle più scure, determinando così un senso rotatorio diverso in base alla disposizione dei settori colorati (Fig. 8). Tali movimenti non sono percepiti dall’osservatore che li effettua ma costituiscono evidentemente la causa dell’illusione dal momento che, quando questa viene messa fuori fuoco e diminuisce così il “contrasto” di luminosità, sia l’occhio che i “serpenti” sono palesemente fermi (Fig. 9).

Conclusioni

Abbiamo affrontato un argomento estremamente complesso ma anche molto affascinante dove interagiscono nozioni di ottica, geometria, neurofisiologia e analisi dell’immagine. Tutto quello che abbiamo descritto riguarda la capacità del nostro sistema visivo, in modo particolare delle cellule retiniche, di modificare ciò che noi guardiamo. Possiamo affermare che alcune sensazioni illusorie hanno un’origine fisica all’interno della retina o circuiti corticali visivi.

Esistono altre forme d’illusione ottica che dipendono dall’integrazione delle immagini elaborate dalla retina e dalle informazioni che la corteccia cerebrale ha accumulato e trasmesso nei secoli e quindi dal suo sviluppo antropologico culturale.   Questo aspetto sarà l’argomento del prossimo articolo, in cui ci concentreremo sulle quelle illusioni che dipendono principalmente dalle informazioni contenute nella memoria del nostro cervello.

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154