Polifemo e i ciclopi. Pura immaginazione o esseri umani giganteschi con un solo occhio?
Premessa
Fin dai tempi lontani l’uomo ha fatto ricorso al mito nel tentativo di dare un significato agli eventi “anomali” che lo circondavano. Non è un caso che i miti si siano sviluppati soprattutto in un periodo in cui non vi erano basi razionali e scientifiche che potessero giustificare gli accadimenti naturali o le stesse vicende umane.
Tra le varie mitologie quella greca ha superato i confini del tempo e dello spazio. Oltre a tramandarci personaggi e vicende famose, lo studio della mitologia greca ha rivelato conoscenze mediche molto interessanti, e peraltro spesso relative anche all’occhio (C. Trompoukis, D. Kourkoutas. Greek mythology: the eye, ophthalmology, eye disease, and blindness. Can J Ophthalmol 2007; 42:455–9). I poemi epici omerici contengono, ad esempio, descrizioni anatomiche degli occhi e delle orbite e dagli stessi traspare anche una conoscenza elementare della loro fisiologia. Il concetto di campo visivo può essere visto, per esempio, nella vicenda di Argo Panoptes (vedi l’articolo Il mito di Argo “che tutto vede”). Senza dubbio, però, tra i racconti mitologici più celebri e in cui l’occhio ha una certa centralità possiamo citare quello dei Ciclopi. Si tratta del famoso mito descritto da Omero nel IX libro dell’Odissea (ma, in realtà, viene citato da molti autori dell’antichità come Virgilio, Ovidio, Teocrito, Euripide), che – oltre ad essere oggetto di studio e approfondimento da parte degli esperti di storia e letteratura greca – risulta ampiamente conosciuto nella cultura popolare dell’occidente. Ciò, probabilmente, in ragione delle numerose e accattivanti vicende che ruotano attorno queste creature mitologiche, dove i sentimenti s’intrecciano con conoscenza e cultura. Sono, tuttavia, ancora pendenti alcuni interrogativi che riguardano tanto l’aspetto meramente mitologico, quanto quello medico-scientifico.
Il mito dei Ciclopi
I Ciclopi vengono descritti nella mitologia greca come figure di statura gigantesca, caratterizzati dalla presenza sulla propria fronte di un unico grande occhio centrale e che vivono in uno “stato di natura” (“superbi e senza legge”, cit. Odissea) e sono antropofagi. Di queste creature Polifemo (Fig. 1) rappresenta la figura più emblematica e compare in uno dei libri più celebri dell’Odissea di Omero. Il poeta nel raccontare le avventure dell’eroe greco, re di Itaca Ulisse, descrive anche l’incontro “roccambolesco” tra quest’ultimo e Polifemo. Sbarcati su un’isola disabitata, Ulisse e i suoi compagni decidono di esplorare la vicina terra dei Ciclopi, ritrovandosi in un ambiente assai selvaggio con numerose caverne abitate, appunto, da personaggi mostruosi e poco affini ai rapporti. La “perlustrazione”, infatti, continua finché Ulisse non trova la grotta di Polifemo, che temendo l’invasione della propria caverna cattura Ulisse e i suoi compagni, sei dei quali vengono immediatamente divorati dal ciclope mentre gli altri restano intrappolati nella caverna che verrà chiusa da un enorme masso. Ulisse riuscirà ad escogitare un piano (accecando il ciclope, perforandogli il suo unico occhio) e così potrà fuggire con i compagni superstiti (Fig. 2).
Alcuni interrogativi circa la reale esistenza dei Ciclopi.
È davvero credibile che siano esistiti questi esseri giganti con un unico occhio centrale?
La verità è che i Ciclopi non sono mai stati altro che un mito, ma ciò che è interessante è provare a comprendere il motivo per cui degli esseri così “poco amorevoli” abbiano così affascinato la mente degli antichi greci fino al punto di dare loro “vita” nei racconti epici. Ad oggi, sembra che coesistano varie argomentazioni utili a spiegare l’origine del mito dei Ciclopi.
In particolare:
- in primo luogo, il ritrovamento di crani di pachiderma durante il periodo dell’antica Grecia.
Si ritiene che questi pachidermi fossero migrati molti anni prima dalle terre turche e che i greci li abbiano conosciuti attraverso il ritrovamento dei loro scheletri. Le dimensioni dei loro crani erano circa il doppio di quelle di un cranio umano e inoltre risultava un’apertura nasale prominente al centro, tra le zanne, da dove emergeva il tronco (Fig. 3). Probabilmente, l’apertura nasale potrebbe essere stata interpretata come un’unica orbita oculare. Considerando che i greci non si erano mai imbattuti con gli elefanti, che venivano da terre a loro sconosciute, è probabile che abbiano attribuito alla forma di questi crani di dimensioni anomale, un’aurea “mitologica” (Cusó O. Los Fósiles que inspiraron el mito de los cíclopes. Historia National Geographic 2019; 192:10-11);
- in secondo luogo, gli esseri umani che soffrivano di un tumore pituitario secernente l’ormone della crescita.
Ciò spiegherebbe le loro grandi dimensioni e l’acromegalia, i lineamenti grossolani e un’emianopsia bitemporale (Fig. 4). Una sorta di visione monoculare da non intendersi letteralmente, cioè anatomicamente, bensì funzionalmente, ossia con abolizione dei campi visivi periferici., come se la visione provenisse da un unico occhio centrale anziché da due (Canut MI, Rebolleda G, Fernanandez-Vega A, Mármol M. Defectos Campimétricos no glaucomatosos. Barcelona: Editorial Glosa, S.L; 2019. p: 116). Sapendo che l’acromegalia è stata diagnosticata in resti di scheletri greco-romani, questa ipotesi potrebbe diventare molto rilevante quando si spiega la leggenda greca in questione (Giornata di Studi dedicati al Mito dei Giganti, Catania 2019);
- infine, eventuali situazioni di Ciclopia e la Sinoftalmia.
In realtà, tale ultima “tesi” è superabile, poiché né la vera ciclopia, né il sinoftalmo sono compatibili con la vita. Pertanto, è assai difficile supporre che gli antichi greci abbiano potuto trarre ispirazione da un uomo adulto affetto da queste patologie. La ciclopia e la Sinoftalmia sono malformazioni congenite costituite dall’abnorme vicinanza, fino alla coalescenza, dei due bulbi oculari, causata da un anomalo sviluppo del processo frontale dell’omonimo osso (Fig. 5). Queste gravi lesioni del prosencefalo sono spesso accompagnate da gravi malformazioni sistemiche e i neonati colpiti raramente sopravvivono (Gondré-Lewis MC, Gboluaje T, Reid SN et all. The human brain and face: mechanisms of cranial, neurological and facial development revealed through malformations of holoprosencephaly, cyclopia and aberrations in chromosome 18. Journal of Anatomy, 2015; 227(3):255-267).
Conclusioni
Nonostante alcune argomentazioni risultino assai verosimili, è molto difficile sapere quale motivazione abbia realmente spinto i greci a descrivere creature particolari come i Ciclopi, così lontane dai loro canoni sociali ed estetici. È però certo che la lettura dell’Odissea ha appassionato e arricchito la cultura di intere generazioni, basandosi su uno strumento meraviglioso come l’immaginazione; altrettanto certo, ma al contempo “curioso”, è come il mito dei Ciclopi e le caratteristiche di tali creature abbiano dato nome ad una malattia oftalmologica, la Ciclopia, divenendone in un certo senso icona.
Occhiocapolavoro
Dott. Giuseppe Trabucchi – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica
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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154