Occhi e Yoga: il punto focale

Introduzione

Nella pratica millenaria dello yoga gli occhi sono essenziali.

A livello pratico, infatti, ad ogni postura dello yoga corrisponde un’indicazione precisa del punto di focalizzazione dello sguardo; ad esempio: verso l’alto nelle posizioni di apertura del cuore, verso le dita della mano in trikonasana “posizione del triangolo”, verso l’ombelico nella posizione del cane che guarda in basso o tra le sopracciglia nella pratica di particolari esercizi di respirazione, in linea con la spalla nelle torsioni (fig 1).

Fig. 1. Sguardo in linea con la spalla nella torsione fotografa Elena de Vincenzo.

Il punto preciso su cui concentrare lo sguardo viene chiamato in sanscrito “drishti”, traducibile letteralmente in “ciò che viene guardato”, ma utilizzato anche per richiamare “il testimone”, cioè colui che compie l’atto di guardare. La riconducibilità allo stesso termine di due concetti di fatto opposti, l’osservato e l’osservatore, non è casuale.  Evidenzia infatti la perfetta fusione tra “chi guarda” e “ciò che viene visto”, tra il soggetto (la sua anima) e lo spazio circostante, che perde il suo carattere dimensionale per riassumersi ed esaurirsi nel punto cui lo sguardo è destinato.

L’importanza dello sguardo nello yoga…

Nello yoga lo sguardo assurge a guida preziosa per i movimenti, per il respiro e per i flussi di energia.

Gli occhi aiutano il corpo a dare una direzione al gesto, a entrare nella posizione, con meno sforzo e più in profondità, accompagnando il praticante la dove intende arrivare, con la mano, col braccio o con il piede.

Gli occhi sono, in sostanza, il fondamento del nostro equilibrio. Anche chi non ha mai praticato yoga ha in mente la posizione dell’albero (fig. 2): lo sguardo, teso come la corda di un arco su un punto preciso davanti a noi, diventa la radice più solida a cui possiamo ancorarci per trovare stabilità.

Fig. 2. Posizione dell'albero fotografo Denis Moroni.

Allo stesso tempo, e sotto un profilo meno fisico, lo sguardo diventa anche un mezzo per ritrovare concentrazione e restare focalizzati su ciò che stiamo facendo. Più gli occhi saltano da un punto all’altro, più la mente inizia a vagare, a raccogliere stimoli, a provare a decifrarli, fino a farci deconcentrare.

Gli occhi svolgono un ruolo centrale nel captare tutti gli input che arrivano dall’esterno e nel regolare importanti funzioni cerebrali, anche attraverso il meccanismo dei neuroni a specchio (di cui abbiamo già avuto modo di parlare nel nostro articolo “Un viaggio dentro lo specchio”). Questi neuroni sono particolari cellule specializzate della corteccia che rendono possibile l’apprendimento tramite l’imitazione di gesti, che vediamo compiuti da altri, e sono alla base della capacità di sincronizzarsi, dell’empatia e dell’apprendimento del linguaggio. Oggi sappiamo che l’osservazione di un determinato movimento comporta l’attivazione delle stesse cellule cerebrali che vengono stimolate nel momento in cui siamo noi a compiere il medesimo gesto. I flussi di consapevolezza e l’attivazione delle aree cerebrali sono quindi strettamente legati a ciò che vediamo.

Per questo, quando rivolgiamo la nostra attenzione verso un punto preciso, gli occhi creano un collegamento stabile con quello specifico oggetto che stiamo fissando, e che in qualche modo diventa momentaneamente il centro del nostro mondo, il punto in cui converge tutta la nostra energia. Ad esempio, nell’esecuzione di un piegamento in avanti (fig.3), per cui occorre arrivare con le mani ad afferrare gli alluci e portare lo sguardo verso le dita, con questa ultima azione non stiamo semplicemente guardando in una direzione, ma cerchiamo di attribuire un fine, un obiettivo al nostro gesto, che va oltre il guardarsi semplicemente i piedi, rappresentando, piuttosto, il desiderio di arrivare, di raggiungere il risultato prefisso, che, normalmente, nell’ambito dello yoga, coincide con il pervenire a una situazione di benessere complessivo (corpo e mente).

Fig. 3. Piegamento in avanti Fotografa Elena de Vincenzo.

Infatti, se da un lato, il lavoro sugli occhi – che inizia sul tappetino, ma che possiamo portare con noi nella vita quotidiana – ci insegna ad aprire il nostro sguardo, a renderlo lucido e preciso, ad espanderlo per portarlo verso l’esterno, oltre i confini della quotidianità, per poter vedere concretamente oltre la superficie delle cose, anche dei “limiti” del nostro corpo; dall’altro, come scriveva Iyengar (in “Teoria e Paratica del pranayama”, Edizioni Mediterranee, 1984), mistico indiano, nonché uno dei più importanti maestri di yoga del secolo scorso, lo sguardo diventa “l’occhio della mente rivolto alla propria interiorità”, in grado di cogliere anche sottili cambiamenti.

Lo yoga, infatti, è una pratica che sviluppa anche il nostro occhio interiore, la capacità di guardarci dentro. Il gesto di chiudere gli occhi durante la meditazione (o la posizione conclusiva di “shavasana”, in cui ci si sdraia supini, o durante un profondo rilassamento) ci permette di spalancarli su un universo immenso, che parte all’interno dei confini corporei delimitati dalla nostra pelle, per poi farci immergere nel buio. Possiamo così lasciarci cullare dall’oscurità vellutata, che avvolge e accoglie la nostra anima come un manto e ci accompagna nel viaggio dentro di noi. Da ciò deriva una piacevole sensazione di beatitudine.

…e nell’ayurveda

La centralità dello sguardo viene confermata anche nell’antica medicina indiana, l’ayurveda, fortemente collegata allo yoga; in estrema sintesi, possiamo dire che una tende alla purificazione della mente, l’altra del corpo, con un approccio, in entrambi i casi, olistico.

L’ayurveda, infatti, studia da millenni metodi di cura che pongono l’essere umano e il suo rapporto con gli elementi naturali al centro del proprio sistema di cura, mettendo in relazione, per quanto di nostro interesse, gli occhi con l’elemento “tejas”, il fuoco. Non a caso si parla di “mettere a fuoco”, “focalizzare” o di “focus point” ogni volta che dobbiamo concentrare il nostro sguardo (e di conseguenza la nostra attenzione) in modo preciso e lucido su qualcosa (fig. 4).

Fig. 4. Mettere a fuoco fotografo Denis Moron.

In questa connessione tra occhi e fuoco, a livello simbolico, emerge anche un legame con la determinazione, o meglio, con la capacità di indirizzare i nostri sforzi verso un obiettivo preciso: quell’obiettivo che vogliamo raggiungere. Non deve stupirci quindi che, secondo l’ayurveda, se gli occhi sono l’organo di senso della vista, i piedi rappresentano l’organo di azione corrispondente, costituendo la parte del nostro corpo fisicamente in grado di condurci alla meta.

Conclusione

Lo yoga in quanto pratica che mira a conoscere meglio noi stessi e il mondo in cui ci troviamo a vivere, considera il nostro corpo fisico lo strumento migliore per compiere questo viaggio di autoconsapevolezza. Tra tutti gli organi di senso, gli occhi, in particolare, hanno la capacità di metterci in costante relazione con il mondo che sta fuori di noi e con tutto ciò che accade dentro di noi. In senso concreto e in senso figurato, ci consentono di spalancare le porte della percezione, restituendoci una visione esteriore e una interiore della realtà, dalla cui sintesi deriva la nostra capacità di leggere e interpretare il mondo.

Se desideri vedere le valli, sali sulla cima della montagna. Se vuoi vedere la cima della montagna, sollevati fin sopra la nuvola. Ma se cerchi di capire la nuvola, chiudi gli occhi e pensa. (Khalil Gibran)

Jores Facchinelli

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154