Le icone: il luogo in cui lo sguardo di Dio incontra lo sguardo dell'uomo

L’epoca in cui siamo immersi ci porta ad associare immediatamente la parola icona ad un’immagine digitale semplice ed intuitiva, in realtà questo termine allude tradizionalmente ad un’immagine sacra che rappresenta Cristo, la Madonna o i santi ed è molto venerata nella liturgia dell’Oriente cristiano. Quando si parla di icone sacre (Fig. 1) non si può assolutamente prescindere dalle sensazioni emotive che esse evocano alla vista, non di rado infatti le icone vengono definite come il luogo in cui l’occhio di Dio incontra quello dell’uomo. Le icone possono essere considerate lo sguardo dell’uomo su Dio e quello di Dio sull’uomo; il tentativo di rappresentare l’invisibile, capace di ascoltare il cuore dell’uomo. Queste suggestioni affondano le proprie origini nella storia e nell’arte.

Fig. 1. Icona sacra. Pixabay.

Storia ed origine del termine

L’espressione icona deriva dal russo ikona, proveniente dal greco bizantino εἰκόνα e prima ancora dal greco classico εἰκών-όνος. Il significato è “immagine”. Le icone nella cultura bizantina e in particolare in quella russa venivano realizzate su tavole di legno, a differenza della consuetudine della pittura murale diffusa in occidente. La funzione dell’icona cristiana è di fatto quella di portare agli occhi ciò che la parola porta alle orecchie, la grandezza del Signore. Le immagini diventano quindi in questo senso un punto di riferimento per i fedeli che osservano l’icona sia con gli occhi del corpo che con quelli del cuore per avvicinarsi il più possibile a Dio, a suo figlio Gesù e alla Madonna.

Per quanto riguarda la loro storia, le icone si affermano intorno al IV secolo, quando la chiesa orientale e quella occidentale sono ancora unite. Motivo per cui queste rappresentazioni sono di fondamentale importanza per tutta la cristianità. Tuttavia, la loro origine può essere fatta risalire ad un’epoca ben più lontana, alla preistoria, quando le rappresentazioni visive avevano come scopo quello di cercare di stabilire un contatto con le divinità. Allo stesso modo, la Chiesa attraverso le icone ha voluto dare manifestazione della sostanza divina per dimostrare che Dio può essere presente in ogni luogo. Ma è durante il Concilio di Nicea (787) che viene definito il concetto di icona così come siamo abituati a concepirlo noi oggi. Una forma d’arte in cui è presente l’incarnazione del Figlio di Dio. Con il passare del tempo l’icona, oltre ad essere parte integrante della liturgia della Chiesa, ha trovato posto anche nelle nostre case, come a voler designare un luogo specifico destinato al raccoglimento e alla preghiera.

La Palestina, la Siria, l’Egitto, Bisanzio e la Russia rappresentano la culla della produzione iconografica. Qui, infatti, le icone hanno rappresentato un elemento caratteristico dell’arte e della fede cristiana fino al XVIII secolo. In seguito, sono state esportate anche in Occidente, soprattutto a Roma, trasformandosi così in veri e propri oggetti di culto. Inoltre, nel 1904 con il restauro della Trinità di Rublev (Fig. 2), si è potuto assistere ad una vera riscoperta del genere e della sua importanza simbolica (T. Spidlìk e M. I. Rupnik. La fede secondo le icone. Ed. Lipa – Centro Aletti, Roma 2000).

Fig. 2. Trinità, Andrej Rublev, 1425, Galleria Tret’jakov. CC BY-NC-ND 2.0 by jimforest.

Le icone mariane

I temi rappresentati dalle icone possono essere molteplici, ma tutti collegati alle parole dell’Antico e del Nuovo Testamento. I personaggi maggiormente raffigurati sono Cristo e la Vergine Maria. Le cosiddette icone mariane sono certamente tra le più diffuse nella tradizione cristiana. Il più delle volte la Madonna è rappresentata in busto e, solo in qualche caso, a pieno corpo seduta o in piedi. È di norma dipinta su uno sfondo oro, simbolo del cielo dove essa si trova, stringe fra le braccia il Bambin Gesù che le sta seduto in grembo o appoggiato al braccio sinistro (talvolta anche sul destro). Il Bambino è tale per via della sua statura, ma in realtà i tratti del volto sono chiaramente quelli di un adulto. Se, quindi, Gesù è il Figlio di Dio, Maria diventa la Madre di Dio. Un concetto reso anche attraverso l’abbreviazione MP ΘY, cioè Meter Theou.

Secondo la tradizione, le icone mariane si rifanno ad un ritratto originale di Maria dipinto dall’evangelista Luca e si dividono in più tipi. I più diffusi sono:

  • la Madonna Odigitria – colei che indica la via: sorregge con il braccio sinistro il bambino e con la mano destra lo indica come “la via” e la “verità”;
  • l’Eleousa – Madre di Dio della tenerezza (Fig. 3a): in questa icona madre e figlio sono stretti in un abbraccio;
  • il tipo dell’Allattante: Maria regge sul petto il Bambino e gli porge il seno scoperto;
  • il tipo dell’Intercessione (Fig. 3b): in questo gruppo la Vergine è raffigurata da sola, quasi di profilo e con le braccia protese nell’atto di intercedere;
  • la Kyriotissa o Regina: qui la Madonna è raffigurata su un trono, in abito di Basilissa (imperatrice). Di solito è rappresentata vestita di porpora, seduta da sovrana, mentre il Bambino si trova sul suo grembo, con la destra alzata in segno di benedizione.
Fig. 3a. Madonna Eleousa. Pixabay.
Fig. 3b. Madonna Advocata. CC-BY SA 4.0 by Asia.

Quali sensazioni evocano le icone?

Ripercorrendo brevemente la nascita e la diffusione delle icone, è possibile comprendere come queste raffigurazioni sacre siano nate con l’intento di dar voce a qualcosa di difficilmente spiegabile a parole, la Fede. Le icone hanno rappresentato una forma di insegnamento della religione cristiana in un’epoca in cui l’analfabetismo era un fenomeno molto frequente, fino a diventare un oggetto di culto a tutti gli effetti.

Non bisogna, però, dimenticare che l’icona conserva di per sé anche una valenza puramente artistica. In questo senso i colori, i canoni pittorici, le modalità di composizione dell’opera e la sua contemplazione fanno entrare chi la guarda in una condizione di “estasi”. L’icona non riproduce ciò che colgono i nostri occhi; per poterla contemplare adeguatamente dobbiamo lasciarci introdurre in un altro genere di visione, che rimanda alle realtà eterne. La carnagione dei volti, ad esempio, non ha una tonalità rosea ma dorata, a significare la trasfigurazione dell’uomo; anche gli occhi hanno uno sguardo proteso “oltre”, verso l’aldilà (Fig. 3b). I lineamenti sono stilizzati, come pure l’esecuzione delle vesti, a dimostrare la perfezione del mondo invisibile. Alcuni colori hanno un significato simbolico: la Madre di Dio è sempre caratterizzata da un ampio manto purpureo, (il color porpora era a quei tempi preziosissimo e perciò riservato agli Imperatori Bizantini) indica la divinità (Fig. 3a). L’oro più che un colore è luce pura (Fig. 1) e indica la divinità: circonda la figura, la sottrae allo spazio e al tempo, indicando così che essa appartiene al mondo di Dio (Maria, Icona del Cristiano. Madre Anna Maria Canopi. Edizioni Palumbi, Teramo, 2018). 

Quando infatti un fedele osserva un’icona sacra avverte immediatamente una sensazione di Presenza che lo avvicina alla preghiera, alla meditazione e all’esercizio quotidiano della virtù e dell’obbedienza. Le immagini puntano dunque non soltanto agli occhi fisici, ma anche agli occhi del cuore, avvicinando l’uomo a Dio.

“L’oro barbaro e pesante delle icone, in sé futile alla luce del giorno, si anima con la luce tremolante di una lampada o di una candela in una chiesa, facendo presentire altre luci non terrestri che riempiono lo spazio celeste.

(Pavel Aleksandrovič Florenskij)

Veronica Elia

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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