Il make-up: oltre la superficie. L'evoluzione del suo significato profondo dall'antichità ad oggi

Comunemente si è portati a pensare che il trucco (Fig.1) sia un’invenzione della modernità. Uno stratagemma nato con lo scopo di mascherare il proprio volto – e le sue presunte imperfezioni – in modo tale da renderlo diverso da ciò che è, e così soddisfare i canoni estetici “esaltati” e indirettamente imposti dalla società.

In realtà, questi “prodotti magici” hanno qualche “funzione” in più.

Fin dall’antichità il make-up si è affermato come una forma di espressione a metà strada fra rituali di bellezza e valenze sacre. Sebbene oggi risulti difficile inquadrarlo in un contesto storico, passando attraverso culture ed epoche diverse, il trucco si è imposto come uno strumento di comunicazione a tutti gli effetti, con cui è possibile manifestare la complessità dell’identità umana, al pari del linguaggio verbale e corporeo (sullo stesso argomento Truccarsi: “fare apparire” o “raccontare”? Intervista con la make-up artist Elisa Feltrin).

Fig. 1. Trucco. Pixabay.

Make-up artist, consulenti di immagine e psicologi sono ormai concordi sul fatto che il trucco non sia da considerarsi una mera maschera, ma piuttosto un potente mezzo attraverso cui rivelare se stessi. Non serve a nascondere, ma a raccontare l’essenza di chi lo indossa.

Come ha avuto modo di evidenziare il famoso consulente d’immagine e trucco  Stefano Anselmo “C’è qualcosa che accomuna gli esseri umani, indipendentemente da provenienza, cultura, religione, colore della pelle, orientamento sessuale o ideologia politica: è il bisogno di mascherarsi (ovvero di truccarsi, pettinarsi, abbigliarsi e adornarsi) per sentirsi il più possibile vicini a un modello ideale condiviso e riconosciuto […] Attraverso la ‘maschera’, l’uomo nasconde non soltanto la sua faccia, ma anche il proprio carattere, quindi le proprie inadeguatezze […] Secondo alcuni ‘dottori della Psiche’ – mi riferisco ad antropologi e studiosi del comportamento umano – la maschera, in realtà, non nasconde chi la indossa. Anzi, abbattendo molti ostacoli inibitori, ne svela carattere e desideri” (S. Anselmo, Storia del trucco e dei cosmetici – Dall’antichità all’ottocento, Edizioni LSWR, 2020).

Per comprendere appieno la storia del make-up e il suo significato occorre innanzitutto fare un salto indietro nel tempo in un intreccio di antiche pratiche e trasformazioni sociali.

Nella preistoria i disegni sul corpo servivano a distinguere una tribù dall’altra, ma è con l’antico Egitto che il trucco, come lo intendiamo oggi, ha iniziato la sua evoluzione da emblema tribale e “marchio identitario” a simbolo universale di bellezza e potere.

La storia del make-up ha inizio fra le dune e i templi degli antichi Egizi (Fig. 2), per i quali il trucco aveva soprattutto una profonda valenza spirituale e religiosa. Si riteneva che la bellezza fosse gradita agli dei e potesse proteggere l’individuo dal male. Non a caso, i sacerdoti realizzavano miscele di oli, unguenti e pigmenti per esaltare la bellezza del corpo e purificare l’anima.

Il trucco era originariamente usato solo dagli uomini. In maniera particolare, i faraoni erano seguiti dai più esperti visagisti del tempo, che realizzavano su di loro dei magnifici make-up per le cerimonie reali. Con il passare del tempo i cosmetici cominciarono ad essere offerti anche alla gente comune, al di là del genere e dell’estrazione sociale, durante importanti ricorrenze e festività: preparati in polvere d’oro, oli, creme e altro in modo che anche il popolo potesse truccarsi per le celebrazioni. Reperire le materie prime per il trucco non era problematico per gli Egizi. In qualsiasi mercato si potevano trovare le paste per la preparazione di prodotti cosmetici. Questa intensa attività commerciale rese l’Egitto il luogo più fornito di prodotti di bellezza nel mercato globale del tempo. Quanta importanza avesse il make-up per gli Egizi si capisce dall’attenzione che questo popolo dedicava al trucco per gli occhi: lo sguardo era infatti ritenuto la massima espressione dell’anima, quindi, era necessario valorizzarlo ad ogni costo.

A tale scopo si usavano il Khol o il Kajal, impasti ricavati da polveri minerali, metalli e grassi animali, che donavano allo sguardo un’aura magnetica, che, nell’immaginario collettivo, associamo ancora oggi a figure iconiche come Cleopatra. Quest’ultima, infatti, emblema di fascino eterno e inimitabile, non solo amava truccare gli occhi con la polvere di malachite, una pietra dal colore verde/turchese, ma si dedicava a veri e propri rituali di bellezza, realizzando una sorta di “scrub” a base di sabbie e argille del Nilo.

L’uso del trucco, quindi, non costituiva solo un vezzo estetico o una questione di pura vanità; rifletteva, piuttosto, tanto nelle donne quanto negli uomini, un particolare status sociale ed era simbolo di spiritualità, salute e potere.

Basti pensare a figure come Niankhnum e Khnuhotep, sacerdoti e veri pionieri del make-up, che nel 2500 a.C. curavano l’aspetto del faraone e, con ogni probabilità, anche il suo trucco o alla scena raffigurata sulla tomba di Ipi a Deir el Medina (2060-2025 a.C.), dove viene rappresentato un uomo mentre applica del nero sugli occhi di un altro. Anche se alcuni interpretano questa pratica come un trattamento oftalmologico, occorre considerare che, nell’antico Egitto, medicina e cosmesi andavano spesso di pari passo. Infatti, dalle fonti ad oggi disponibili, sembrerebbe che lo stemt, il nero usato sugli occhi, non era solo cosmetico, ma vantava anche proprietà terapeutiche (S. Anselmo, Storia del trucco e dei cosmetici – Dall’antichità all’ottocento, Edizioni LSWR, 2020).

Fig. 2. Antichi Egizi. Pixabay.

Dal mondo classico al declino nel Medioevo

Nel mondo classico, come sappiamo, i Greci nutrivano una profonda ammirazione per la bellezza fino a creare un vero e proprio culto, individuando canoni estetici di cui parliamo ancora oggi. Sono diverse, infatti, le testimonianze giunte sino a noi rilevano l’uso di prodotti per la cura della pelle, preparati con ingredienti naturali conosciuti per le relative proprietà emollienti, quali olio d’oliva e latte. Per dare colore al viso, invece, si ricorreva a pigmenti, come il rosso del minio (ossido di piombo), l’hennè, le alghe marine e le more essiccate. Il cosmetico più diffuso era però la biacca, un composto a base di piombo, che conferiva un effetto voluto di pallore, simbolo di purezza e virtù nelle donne. Tuttavia, la biacca era estremamente tossica e il suo frequente e prolungato poteva causare addirittura la morte.

Gli Etruschi furono indiscussi maestri profumieri e ottimi cosmetologi. Si specializzarono nella produzione di oli e unguenti, mentre i prodotti di make-up erano d’importazione, provenienti dall’Asia, dall’Egitto e dalla Grecia. Nel corredo funebre delle tombe etrusche sono spesso stati rinvenuti scrigni e cofanetti, usati come i moderni beauty case, ma sigillati con il mastice, a testimonianza dell’enorme importanza che la cultura etrusca dava all’aspetto e alla cura del corpo. Questi ritrovamenti hanno permesso lo studio delle sostanze contenute nei cosmetici: gli oli per il corpo, ad esempio, erano a base di rosmarino e salvia, o di mirto. L’arte della cosmesi si concentrava sul viso: questo doveva essere ben truccato, con labbra colorate di rosso, occhi disegnati da una raffinata linea nera e pelle perfetta grazie all’uso quotidiano di creme. I capelli venivano raccolti, anche in questo caso, in acconciature sofisticatissime e particolarmente elaborate, così che incorniciassero il volto (Fig. 3).

Fig. 3. Ritratto di Velia (IV secolo a.C.; affresco; Tarquinia, Tomba dell’Orco)

Gli Etruschi si occuparono molto anche degli strumenti per la cura della bellezza. In particolare, posero molta attenzione nella produzione degli specchi: erano di fattura molto elegante e raffinata, realizzati in bronzo, argento o rame raffiguranti scene di mitologia greca riguardanti la bellezza.

Anche i Romani impararono dai Greci a curare il loro aspetto fisico  Come loro usavano il Khol per il trucco di ciglia e sopracciglia. Alcuni materiali rinvenuti negli scavi archeologici fanno risalire questa abitudine sin dal I secolo. Questo popolo può essere considerato inventore delle maschere di bellezza: le donne creavano composti d’ogni genere con sostanze come l’ocra, il vermiglione, il cartamo e la porpora di Tiro. Applicavano abitualmente una maschera prima di andare a dormire ed una al mattino. Le maschere notturne, in particolare, erano fatte con farina, lumache secche, foglie aromatiche, miele e latte d’asina in modo da rendere soffice la pelle. Per darle freschezza durante il giorno, si cospargevano invece di cerussa, una crema a base del velenoso ossido di piombo. Il make-up del viso era molto semplice: occhi anneriti con la fuliggine, labbra tinte di rosso grazie alla polvere di ocra e pelle sbiancata con del gesso (Fig. 4).

Fig. 4. Ritratto di donna, dalla necropoli di El-Fayuum, II sec. d.C.

La vera invenzione, dovuta ai Romani, fu la splenia: cerotti neri molto piccoli simili a minuscoli nei, usati per coprire imperfezioni o cicatrici. Anche le acconciature erano oggetto d’interesse. Verso la fine del III sec. a.C., le donne romane cominciarono a portare i capelli lunghi in pettinature molto elaborate, costituiti da riccioli sovrapposti. Erano inoltre molto utilizzate le tinture, ed il colore preferito era il biondo/rosso. Questo accadde soprattutto a Roma dove, dopo la conquista della Gallia, Giulio Cesare portò con sé parecchie giovani bionde. Da quel momento le donne italiane presero ad imitarle con preparati di grassi di animale, sambuco e mallo di noce. Molto diffuso era l’uso delle terme. I bagni termali, i massaggi e l’uso degli unguenti appartenevano sia agli uomini che alle donne. Tra le più importanti ricordiamo quelle di Caracalla, che all’epoca avevano una capienza di oltre 2000 persone.

Nel Medioevo, invece, il make-up conobbe un periodo buio e di crisi, in ragione del profondo rigore religioso, che caratterizzò tale epoca. La cura del corpo e le pratiche cosmetiche erano infatti tutt’altro che popolari, essendo marchiate dalla Chiesa come frivolezze e abitudini futili, e quindi considerate un rischio per l’integrità spirituale.

Ciò nonostante, alcune donne continuavano a “prendersi cura” del proprio viso, ma ricorrendo a miscele assai velenose, a base di polvere di piombo, aceto e miele, e ciò per assicurarsi il tanto desiderato colore bianco opaco. Questo trattamento, tuttavia, non solo conferiva alla pelle un colore innaturale, ma, a lungo andare, finiva per corroderla, provocando danni irreversibili.

La riscoperta del trucco nel Rinascimento e la battuta d’arresto tra il XVIII e il XIX secolo

Grazie alla rinascita delle arti, anche il trucco durante il Rinascimento torna a ricoprire un ruolo di spicco, rispecchiando il rinnovato interesse per l’arte e la bellezza. La ricerca dell’incarnato perfetto e l’esaltazione delle forme tornano ad essere ideali estetici primari e progressivamente il make-up diventa simbolo di opulenza, ricchezza ed abbondanza. Così, come per gli abiti e le acconciature, anche il trucco, esibito sia dagli uomini sia dalle donne, inizia ad essere volutamente vistoso ed esagerato. La pelle del viso veniva resa bianca grazie all’utilizzo della biacca, le labbra e le guance erano dipinte di rosso e addirittura venivano messe in risalto le vene blu del corpo con una matita di lapislazzulo (Fig. 5).

Fig. 5. Piero del Pollaiolo. Ritratto di donna di profilo. Museo Poldi Pezzoli, Milano.

Tra il 1700 e il 1800, a causa della rigidità morale dell’epoca, si assiste ad un cambio di rotta: le nuove tendenze in fatto di cosmetica prevedevano un uso moderato del trucco, che quindi divenne più sobrio. L’utilizzo eccessivo del make-up non era visto di buon occhio dalle classi più elevate, che prediligevano volti diafani, delicati e pelle di “porcellana”, considerandolo una prerogativa di attrici e prostitute, quindi non adatto alla quotidianità delle donne “per bene”.

Il diciottesimo secolo ad ogni modo è stato segnato soprattutto dalla figura di Maria Antonietta (Fig. 6) con il suo tradizionale e iconico make-up, caratterizzato da una fusione di cere e pigmento carminio, che le donava un “look bianco e rosso” su labbra e guance, esprimendo, allo stesso tempo, audacia e aristocrazia.

Con la seconda metà dell’Ottocento la cosmetologia conosce una fase di notevole perfezionamento grazie all’evoluzione della chimica, con conseguenti prodotti più sicuri e raffinati. Da qui ha inizio l’età moderna del trucco.

Fig. 6. Maria Antonietta. Pinterest.

La rivoluzione del Novecento

Nel Novecento si assiste ad una vera e propria rivoluzione della storia del make-up, e a svolta epocale nel settore dell’estetica. È in questo secolo, infatti, che nascono le prime case cosmetiche e con esse cambiano completamente i canoni di bellezza. I modelli di riferimento non sono più donne dimesse e dal colorito pallido. L’attenzione viene, infatti, rivolta alle pelli dal colorito naturale e vivace, simbolo di donne in salute. Inoltre, nel 1913 viene finalmente vietato in modo ufficiale l’uso della biacca di piombo.

In tale periodo compaiono anche i primi fondotinta, pensati inizialmente per il mondo del cinema, ma che in poco tempo si diffondono tra le donne di tutte le classi sociali. Il trucco diventa “popolare” e “democratico,” alla portata di tutte, non più un privilegio per pochi.

Negli anni ’50 (Fig. 7a), il crescente ottimismo post-bellico e la voglia generale di vivere influenzano anche il make-up comportando un’esplosione del colore. Nella seconda metà del Novecento il trucco conosce un’altra evoluzione, questa volta sostanziale, diventando il simbolo – soprattutto tramite l’uso di colori intensi e particolarmente vivaci – dell’emancipazione femminile, delle contestazioni giovanili, dell’edonismo consumistico degli anni ’80 (Fig. 7b) e, più in generale, di una personalità forte e senza compromessi.

Il parallelismo tra le tendenze del trucco e il contesto sociale trova conferma anche negli anni ’90 (Fig. 7c), in cui ha luogo un’altra inversione di rotta, con principalmente un ritorno al minimalismo probabilmente influenzato dalla crisi economica che ha caratterizzato quel periodo. Si mostra, inoltre, attenzione anche verso altre caratteristiche estetiche: in questa fase si impone sul mercato il make-up per le pelli scure e ispaniche, fino a quel momento poco considerate. Allo stesso tempo, però, si diffonde anche un altro filone ben lontano dall’idea di essenzialità cui si tendeva in quel periodo, il make-up in stile dark e gotico, molto apprezzato dai più ribelli e anticonformisti.

Fig. 7a. Trucco anni ’50, Marilyn Monroe. Pinterest.
Fig. 7b. Trucco anni ’80, Madonna. Pinterest.
Fig. 7c. Trucco anni ’90, Cindy Crawford. Pinterest.

Il nuovo millennio e la naturalezza

Con gli anni Duemila il settore del make-up sposa un’idea di bellezza sempre più naturale, e ciò non solo nell’effetto finale, ma anche nell’utilizzo delle materie prime con l’obiettivo di realizzare prodotti sempre più delicati e leggeri e rispettosi della pelle e dell’ambiente. In tale prospettiva, vengono preferiti ingredienti e formule sostenibili per la salute e  il pianeta. Tale consapevolezza e la necessità di assicurare un benessere collettivo complessivo influenzano anche il concetto stesso di bellezza. Il trucco non serve più a raggiungere un ideale di perfezione, ma ha l’obiettivo di esaltare le caratteristiche di ciascuna persona, celebrando l’individualità.

Ripercorrendo la storia del make-up, dalla sua origine come pratica spirituale e religiosa nell’antico Egitto fino al suo ruolo di mezzo di affermazione personale nel XXI secolo, è evidente come abbia subito nel tempo una significativa trasformazione, riflettendo di volta in volta i cambiamenti culturali, sociali e tecnologici della società. Ma non si tratta “solo” di estetica: il make-up si è evoluto in una vera e propria forma di espressione personale. Uno strumento attraverso cui è possibile esprimere il proprio Io interiore, oltre la superficie.

Lontano dall’essere un semplice vezzo, il make-up cela un significato profondo e antico, riflettendo sogni, sentimenti e storie che vanno ben oltre la pelle. È uno strumento potente, capace di trasmettere chi siamo, cosa vogliamo o come vogliamo essere visti, assurgendo così a linguaggio visivo e forma d’arte e di comunicazione senza spazio e tempo.

Letture consigliate:

Angela Giallongo. L’avventura dello sguardo. Educazione e comunicazione visiva nel medioevo. Edizioni Dedalo. Bari, 1995.

Sofia Ambrosio, Claudia Fabiani e Irene Martello. La chimica Del Trucco. Il Linguaggio della Ricerca. 2018.

Stefano Anselmo. Storia del trucco e dei cosmetici dall’antichità all’ottocento. Edizioni LSWR, Milano, 2020.

La cosa migliore è sembrare naturali. Ma ci vuole un sacco di trucco per sembrare naturali.
(Calvin Klein)

Veronica Elia

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154