Il fascino dell'invisibile: dall'anello di Gige all'odio "on line"...

Misterioso ed affascinante, l’invisibile (Fig. 1) è da sempre motivo di interesse e fonte di ispirazione per l’essere umano. L’uomo, infatti, fin dall’antichità, ha avuto il presentimento che potesse esistere dell’altro al di fuori di sé, non scrutabile ad occhio nudo.

Noi percepiamo solo una piccola parte della stessa realtà che ci circonda.  Non tutto, infatti, si manifesta esternamente o comunque in modo evidente. La nostra vita è di per sé caratterizzata da un’area di ignoto. Non è un caso che il termine “invisibile” spesso venga utilizzato in riferimento ad ambiti del vissuto in un certo senso astratti, spirituali, come la religione, il sovrannaturale, la scienza e i sentimenti più intimi.

Allora viene spontaneo chiedersi “che cos’è “l’invisibile”?

Fig. 1. Invisibile. Pixabay.

Si definisce “invisibile” ciò che è privo di corpo e materia (“L’artista deve essere nella sua opera come Dio è nella creazione, invisibile e onnipotente” Gustave Flaubert) o ciò che per la sua distanza e piccolezza o per la sua natura intrinseca non si riesce a percepire con la vista (“Il tempo, come l’elettricità e le radiazioni, è un invisibile, impalpabile, inodore, non udibile entità conosciuta solo da un dispositivo di registrazione” Manfred Weidhorn).

Invisibile, quindi, è ciò che non è fisicamente percettibile, ma questo non significa meno importante, anzi. Richiamando la celebre citazione del “Piccolo Principe” di Antoine De Saint-Exupery

Si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”

si coglie con estrema forza il contrasto tra apparenza ed essenza, confermando un assunto fondamentale: l’invisibile non si vede ma c’è, esiste e spesso è legato ai fondamenti della nostra vita, come le emozioni, le passioni, l’entità in cui crediamo.

Non sempre, però, la parola “invisibile” ha una connotazione positiva. Chi non si sente apprezzato, amato, valorizzato o si considera un emarginato si sente “ invisibile” agli occhi delle altre persone e quindi non considerato, né compreso.

Poi c’è chi decide dolosamente di “risultare” invisibile. Tale “categoria” merita qualche riflessione.

Il mito dell’anello di Gige

Quanti di noi hanno pensato, almeno una volta, di voler essere invisibili e quindi inosservati per poter spiare i pensieri altrui o comportarsi in modo lascivo? Probabilmente molti di noi se non tutti. Purtroppo c’è chi si spinge ben oltre superando il limite della moralità e in alcuni casi anche della giustizia.

Già Platone nel secondo libro del suo dialogo la Repubblica, con il mito dell’anello di Gige (Fig. 2), aveva affrontato il tema, evidenziando gli effetti negativi che l’invisibilità determina nell’uomo.

Gige, un bovaro al servizio del re di Lidia Candaule, a seguito di un terremoto trova una voragine nel luogo dove stava facendo pascolare il bestiame. Così, spinto dalla curiosità, decide di entrarvi ed è proprio lì che scopre un mondo sotterraneo al cui interno trova un enorme cavallo di bronzo con il cadavere di un individuo che indossa un bellissimo anello d’oro. Una volta impadronitosene, Gige esce dalla caverna e scopre per caso che girando il castone dalla parte interna della mano può diventare invisibile agli occhi degli altri. Al contrario, girandolo verso l’esterno torna visibile. Grazie a questo anello il pastore riesce dunque a sedurre la regina che lo aiuta ad uccidere Candaule, diventando lui stesso il nuovo re della Lidia.

Fig. 2. L’anello di Gige. Unsplash.

Nella Repubblica Platone fa raccontare la storia dell’anello di GigeGlaucone, il filosofo greco antico fratello maggiore di Platone, che usa il mito per dimostrare che nessun uomo è così virtuoso da poter resistere alla tentazione di compiere azioni terribili nel momento in cui agisce senza che gli altri possano vederlo. Glaucone arriva a sostenere che si è giusti soltanto sotto costrizione in quanto l’etica è solo una costruzione della società, che l’uomo rispetta solo per il timore di incorrere in spiacevoli conseguenze. In sostanza, se l’uomo avesse la possibilità di agire come vuole senza la paura di essere visto rivelerebbe la sua vera natura, abbandonando ogni moralità; anche l’uomo onesto, se non visto, finirebbe per agire in modo scorretto al pari dell’uomo non leale.

“Se, dunque, vi fossero due di questi anelli, e uno l’indossasse il giusto, l’altro l’ingiusto, non vi sarebbe nessuno, come sembra, dal carattere così forte da permanere nella giustizia ed avere il coraggio di tenersi lontano e non mettere le mani sulle cose degli altri, se gli fosse possibile impunemente prendere ciò che vuole dal mercato, ed, entrando nelle case, unirsi casualmente con chi voglia, uccidere e liberare dalle catene chi voglia, e fare ogni altra azione stando fra gli uomini come un dio. Comportandosi così, dunque, non farebbe nulla di diverso dal secondo, ma entrambi tenderebbero al medesimo obiettivo”. (Platone Repubblica, II  358a-360d).

Effetto Gige: una nuova forma di invisibilità (e l’odio online)

Colui che per Platone è Gige, oggi nel vocabolario digitale è un “troll” o “hater”, vale a dire chi – nascondendo la propria identità – disturba la comunicazione in rete con toni (soprattutto la seconda “tipologia”) offensivi e addirittura violenti.

Si parla, infatti, di effetto Gige per spiegare l’atteggiamento aggressivo o l’impostura a cui spinge al giorno d’oggi l’anonimato su Internet.

Sempre più persone si nascondono dietro allo schermo per celare le proprie paure e debolezze, ma allo stesso tempo anche – e soprattutto – per elargire cattiverie e giudizi negativi.

 “La tecnologia è uno strumento e come tale è neutra. Siamo noi a renderla un’arma capace di ferire gli altri in modo profondo e spesso subdolo. Il pensiero va ai cosiddetti ‘leoni da tastiera’(Fig.3), cioè a coloro che filtrati dal loro schermo – e sfruttando spesso l’anonimato o pseudonimi e nomi falsi – attaccano, denigrano, umiliano i loro ‘bersagli’, fino a screditarli e a scatenare nei loro confronti una vera brutalità e un generale atteggiamento di intolleranza” (Brevi riflessioni sui c.d. “leoni da tastiera” by Oli di @lemusenascoste).

Fig. 3. Leoni da tastiera by @alebonfa32.

Tale fenomeno è stato studiato per la prima volta all’inizio nel 1994 dagli psicologi Martin Lea e Russell Spears. I due studiosi elaborarono un modello, SIDE (Social Identity DE-individuation), che è tuttora usato per spiegare l’aggressività in rete. Secondo questo modello, l’anonimato online fa agire l’utente non come individuo, ma come membro di una comunità (Spears, R. Lea, M. Panacea or panopticon? The hidden power in computer-mediated communication. Communication Research, 21, 427-459, 1994). Questa perdita della consapevolezza di sé si troverebbe all’origine della disinibizione che favorisce il comportamento ostile sui social network, dove elementi come anonimato, invisibilità e comunicazione non “frontale” e non in tempo reale hanno portato le persone a una cultura di ostilità e violenza, facendo diventare il web un contenitore di dialoghi fondati sull’odio e di costanti insulti, che peraltro spesso scaturiscono da cose banali come, solo per fare un esempio, gli invitati al festival di Venezia. Si consiglia sul tema il testo del Prof. Giovanni Ziccardi: L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2016.

È così che lo schermo di uno smartphone ed il monitor di un pc sono diventati un anello di Gige 2.0, alimentando erroneamente la convinzione secondo cui la parola virtuale possa essere usata come sinonimo di irreale e di invisibile. Chi, infatti, indossa questo nuovo mantello dell’invisibilità crede che ciò che viene  detto o fatto online sfugga dalle leggi del mondo reale e dalle conseguenze (anche legali) che queste azioni apparentemente protette dall’anonimato possono avere. Se invece al contario acquisissimo una maggiore consapevolezza del peso delle parole e dei gesti in rete, i concetti di anonimato e di invisibilità arriverebbero finalmente a coincidere con la libertà di esprimere se stessi senza il timore di essere giudicati, sia su Internet che nella vita vera.

Scopri l’invisbile attraverso ciò che vedi.
(Hryhorii Skovoroda)

 Veronica Elia

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154