Gli occhi di Sanpaku: mito e superstizione

Il nostro viso, gli occhi e la mimica facciale hanno molto da raccontare sia sulle nostre emozioni, sia sullo stato (anche patologico) del nostro corpo. Nella cultura orientale si crede addirittura che gli occhi rivelino il destino di una persona. Secondo l’antica leggenda degli occhi Sanpaku (Fig. 1), coloro che hanno in uno o in entrambi gli occhi la sclera ben visibile anche al di sotto dell’iride custodirebbero dentro di sé un’insolita malinconia ed una strana inquietudine. L’espressione di origine giapponese “Sanpaku gan” significa letteralmente “tre bianchi” o “tre vuoti”.

Fig. 1. Occhi Sanpaku. Pixabay.

La leggenda degli Occhi Sanpaku stuzzica la curiosità di chi ammira l’occhio per la sua bellezza ed il suo valore simbolico tuttavia qualche approfondimento è necessario per fare chiarezza sulle interpretazioni che questa teoria possa suscitare.

La leggenda degli occhi Sanpaku   

Capire se si abbiano gli occhi Sanpaku è molto semplice. Basta posizionarsi di fronte allo specchio tenendo la testa e lo sguardo dritti senza sorridere. Se in questa posizione la sclera è visibile tra l’iride e la palpebra inferiore allora la risposta è affermativa.

Ci sono diverse teorie a proposito dell’origine del mito degli occhi Sanpaku. La più diffusa è la teoria orientale che affonda le proprie radici nella medicina tradizionale cinese, secondo cui gli occhi Sanpaku possono essere il segno di uno squilibrio energetico nel corpo, che può far insorgere malattie mentali o fisiche.

Al contrario, c’è chi attribuisce agli occhi Sanpaku una connotazione positiva considerandoli indice di un livello spirituale avanzato, piuttosto che di disagio mentale o di una qualche tendenza maligna. In tale prospettiva, gli occhi Sanpaku sarebbero indicativi di una profonda saggezza e spiccata consapevolezza di sé e del mondo circostante, e quindi tipici di persone tendenti ad entrare più in sintonia con gli altri e l’ambiente.

In occidente a parlare per la prima volta di questo fenomeno fu George Ohsawa, teorico macrobiotico, scrittore giapponese e divulgatore di alcune antiche tradizioni orientali come l’agopuntura e la medicina cinese. Ohsawa pubblicò nel 1965 il suo libro “You Are All Sanpaku”, dove riprendeva il concetto di Sanpaku partendo dalle antiche tradizioni diagnostiche asiatiche della lettura facciale, in cui si pensava che alcune caratteristiche potessero riflettere particolari aspetti della salute fisica o spirituale. Nei suoi scritti arrivò ad affermare che gli occhi Sanpaku erano un tratto particolarmente sgradevole, sintomo di una condizione fisica, mentale e spirituale instabile e premonitori di un destino potenzialmente pericoloso. Questa condizione poteva essere curata solo seguendo una dieta macrobiotica.

Secondo Ohsawa e la teoria orientale, gli occhi Sanpaku si distinguono in due tipologie:

  • Yin Sanpaku (Fig. 2a): dove la sclera è visibile nella parte inferiore dell’occhio e sarebbe associata all’insorgenza di malattie mentali e di squilibri dello spirito e del corpo, che porterebbero a loro volta alla dipendenza da alcol e droghe. Allo stesso tempo questo tipo di occhi sarebbe indice di un animo delicato e sensibile, spesso minacciato dai pericoli della vita esterna. Non a caso Sanpaku Yin significa “mondo esterno”;
  • Yang Sanpaku (Fig. 2b): dove la sclera dell’occhio è visibile nella parte sopra l’iride. È una caratteristica molto più rara che secondo la superstizione sarebbe presente nelle persone violente e con gravi problemi mentali. Pensiamo ad esempio a Charles Manson, un criminalestatunitense tristemente noto per essere il mandante di alcuni dei più conosciuti fatti di sangue della storia degli Stati Uniti, e a Jimmy Savile, un disc jockey e conduttore britannico accusato dopo la sua morte di alcuni terribili crimini. Stando alla tradizione, Sanpaku Yang significherebbe “mondo interiore”. L’espressione allude al fatto che le persone con questo tratto fisico possono in qualche modo danneggiare gli altri.
Fig. 2a. Occhi Sanpaku Yin. Pixabay.
Fig. 2b. Occhi Yang Sanpaku. Pixabay.

Non c’è alcuna base scientifica a sostegno di tutte le teorie descritte. Molte delle credenze sugli occhi Sanpaku si basano su osservazioni aneddotiche, piuttosto che su dati scientifici. Non è infatti osservando la sclera di un individuo che si può prevedere la sua vera natura né tanto meno il suo futuro.

Lo stesso George Ohsawa non ha avuto una formazione in campo medico e quindi non può essere considerato attendibile nelle sue diagnosi. Motivo per cui Ohsawa nei suoi scritti non fornisce neppure delle spiegazioni precise a proposito dei presunti collegamenti tra gli occhi Sanpaku e gli asseriti disturbi fisici e mentali.

Gli occhi possono rivelare il nostro destino?

Senza dubbio, in mancanza di basi concrete, è assai difficile sostenere che gli occhi, per quanto profondi ed espressivi, possano presagire il destino di una persona. Tuttavia, è interessante osservare come la storia sia ricca di personaggi celebri dagli occhi Sanpaku che in effetti hanno avuto una sorte funesta. Primi fra tutti Lady Diana (Fig. 3a) con il suo sguardo sempre malinconico e Marilyn Monroe con i suoi occhi velati di tristezza. Tra gli altri ricordiamo figure tormentate come Michael Jackson (Fig. 3b) ed Elvis Presley e personaggi scomparsi in circostanze violente quali John Lennon e John F. Kennedy.

Ad ogni modo, questa potrebbe essere una pura coincidenza o il tentativo da parte di alcuni di rendere ancora più romantiche le vite di iconici personaggi, unendoli in un tragico epilogo sulla base di una loro caratteristica fisica comune. Il mito degli occhi Sanpaku, della malattia mentale e del destino infausto sembrano piuttosto rappresentare solo un’affascinante leggenda. Tant’è che anche diverse star odierne – ed altrettante persone comuni – vantano la medesima caratteristica fisica pur senza condividere in sorte il tragico destino. Pensiamo ad esempio alla celeberrima cantante Billie Eilish, al premio Oscar Morgan Freeman o all’attore della saga cinematografica Twilight Robert Pattinson.

Fig. 3a. Lady Diana. Pinterest.
Fig. 3b. Michael Jackson. Pinterest.

Negli ultimi anni gli anime, le produzioni animate giapponesi, hanno fatto molta pubblicità agli occhi Sanpaku anche nel mondo occidentale. Spesso, infatti, i loro personaggi presentano questa particolare caratteristica, anche se non necessariamente soggetti a maledizioni. Per emulare questo tratto fisico oggigiorno esistono persino delle cliniche che propongono trattamenti estetici ed interventi chirurgici.

Considerazioni finali

Non vi sono dubbi che gli occhi di una persona possano fornire importanti informazioni sulla sua situazione fisica, ma allo stesso tempo – in mancanza di prove scientifiche – risulta assai difficile dare valore alle teorie che attribuiscono agli occhi Sanpaku significati profondi e addirittura premonitori.

La loro percezione è fortemente influenzata dal contesto culturale e dalle convinzioni individuali. Tale fenomeno, sembra basarsi esclusivamente su tradizioni orientali e antiche pratiche di lettura del volto senza tuttavia trovare alcuna conferma alla luce di moderne evidenze, ha infatti avuto poco fortuna in Occidente.

Generalmente, nel mondo occidentale la visibilità del bianco degli occhi è considerata pressoché ordinaria o comunque non particolarmente anomala. Si può trattare di un mero tratto fisico o di una condizione dell’occhio determinata da alcuni fattori esterni, ben lontani da caratteristiche fisiche o mentali legate a tragici destini o a determinate doti o problemi di salute personali come vorrebbe la leggenda. Una maggiore visibiltà della parte inferiore della regione bianca dell’occhio può essere determinata da una retrazione della palpebra inferiore causata dall’invecchiamento dei tessuti, da traumi facciali o da interventi di chirurgia.

Partendo dal presupposto che è fondamentale distinguere tra superstizione e realtà, la teoria degli occhi Sanpaku, per quanto affascinante, resta una bizzarra combinazione di mito e medicina tradizionale orientale, senza però alcun dato oggettivo e risultato statistico che possa portarci a credere il contrario e superare il ragionevole scetticismo che tale fenomeno inevitabilmente crea (soprattutto negli “uomini di scienza”).  

When I’m down real sanpaku
And I don’t know what to do
Aisumasen Yoko san
All I had to do was call your name
Yes, all I had to do was call your name

(John Lennon, Aisumasen – I’m Sorry, 1973)

Veronica Elia

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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