Edvard Munch e le miodesopsie: la prima forma di autodiagnosi

L’artista Edvard Munch (Løten 1863 – Oslo 1944) è stato uno dei più grandi pittori del XX secolo. I suoi dipinti sono considerati capolavori dell’espressionismo. L’uso crudo, originale e potente che l’artista fa del colore mi ha sempre affascinato, ma è soprattutto la sua capacità di “dipingere” il modo in cui vediamo la nostra epoca, piena di ansia e incertezza, che lo rende uno degli artisti che amo di più.

La vita

La vita di Munch  è stata molto sfortunata a causa della sua debole condizione fisica, che lo ha costretto a trascorrere i lunghi inverni a letto, della povertà che ha afflitto la sua famiglia e del susseguirsi di disgrazie: all’età di 5 anni perde la mamma per tubercolosi e 10 anni dopo la sorella maggiore per la stessa malattia; un’altra delle sue sorelle trascorre la maggior parte della sua vita in istituto per malattie mentali in quanto affetta da profonde crisi psichiche e il suo unico fratello muore di polmonite all’età di 30 anni. L’adolescenza di Munch è stata, inoltre, caratterizzata dalla rigida religiosità e vita emotiva instabile del padre.

Le esperienze vissute durante la giovinezza hanno segnato profondamente Munch, spingendolo verso una visione cupa e angosciata della vita, imbrigliando la sua esistenza in un perenne profondo stato di depressione, cui si è aggiunto negli anni l’uso esasperato dell’alcool, che – soprattutto durante i soggiorni a Parigi e Berlino – ha fatto degenerare il malessere di Munch in crisi aggressive e in un quotidiano spesso dissennato, lontano dai principi religiosi con cui era stato cresciuto. Nel 1908 l’artista viene colpito da un grave esaurimento nervoso e così rientra in Norvegia, dove muore all’età di 80 anni (O’Neill, Amanda. The Life and Works of Munch. 1996, Parragon Book Service Ltd., Bristol, England).

Un’informazione importante della vita dell’artista è il suo legame con l’oftalmologo tedesco Dr Max Linde, il quale fu tra i primi a riconoscere e a promuovere lo straordinario talento di Munch e a supportare il suo successo (Meyer C. Max Linde, MD, a Luebeck ophthalmologist and patron of Edvard Munch. Surv Ophthalmol. 1999;43(6):525–534).

La sua arte

I terribili eventi che hanno scandito la vita dell’artista hanno plasmato le sue opere, rendendole per lo stesso un luogo di rifugio e, al contempo, lo specchio dei suoi sentimenti più intimi e dolorosi. Nei quadri di Munch, infatti, sono ricorrenti le sue emozioni più buie e profonde: la solitudine, la malinconia, l’ansia esistenziale e l’alienazione dell’uomo. I primi accenni al tema dell’alienazione sono rinvenibili nel diario dell’artista, il quale scrisse: “Mi ritrovai sul Boulevard des Italiens – con le lampade elettriche bianche e i becchi a gas gialli – con migliaia di volti estranei che alla luce elettrica avevano l’aria di fantasmi”. Il potere evocativo delle sue parole lo ritroviamo, con ancora più forza, nei suoi dipinti.

Fig. 1. L'urlo 1893, Edvard Munch, Nasjonalgaleriet, Oslo, Norvegia.

Non a caso l’opera che lo ha reso famoso in tutto il mondo è “L’urlo” (Fig. 1). Il protagonista della scena è, infatti, un uomo con le mani intorno al viso che urla con un’espressione di angoscia. Intorno a lui, tutto è un’esplosione di colori intensi, quasi a volere dimostrare l’onda d’urto dell’urlo lacerante. Questo dipinto è riconosciuto come icona della sofferenza umana, personale e collettiva.

Tali aspetti sono ben visibili anche in molti altri quadri, spesso meno conosciuti, come ad esempio la “Sera sul viale Karl Johan” (Fig. 2), dipinto a olio su tela realizzato nel 1892 e oggi conservato al “KODE Art Museums” di Bergen (Norvegia). In tale opera Munch contesta l’alienazione e lo spaesamento dell’uomo moderno trasformando il semplice rituale della passeggiata in un mezzo di accusa dell’umanità che, ormai vuota, avanza macchinalmente. In questo dipinto, come anche in altri, risaltano gli occhi sempre uguali tondi, fissi nel vuoto, che sottolineano paura e  sconforto.

Fig. 2. Sera sul viale Karl Johan 1892, Edvard Munch, KODE Art Museums, Bergen, Norvegia.

I problemi oculari di Munch

Proprio parlando degli occhi voglio descrivere un aspetto poco conosciuto ma di estrema importanza: i gravi problemi visivi dei quali il celebre pittore ha sofferto per un periodo della sua vita. Innanzitutto, l’occhio sinistro era ipovedente fin dalla giovinezza. Nel 1930, a causa di un’emorragia intraoculare nel suo occhio destro, Munch ebbe una importante menomazione visiva e così, per un po’, smise di dipingere (Anna Gruener. Munch’s visions from within the eye. British Journal of General Practice 2014; 64 (618): 36-37).

Fu proprio l’amico oftalmologo Max Linde a seguire Munch durante questo periodo e a lui si devono le poche informazioni cliniche disponibili sulla malattia oculare dell’artista. Dal canto suo, però, Munch descrisse i sintomi visivi quasi ossessivamente.

Fig. 3. Schizzo che descrive in modo realistico i corpi mobili vitreali. The Munch Ellingsen Group ARS, New York (USA).

Quando l’emorragia iniziò a riassorbirsi, Munch disegnò su piccoli bozzetti proprio le immagini che lui percepiva nell’occhio destro come macchie nere o grappoli di filamenti, che in gergo oftalmologico vengono descritti come “corpi mobili” o, in modo più appropriato, come miodesopsie (Fig. 3 e 4). Per documentare con precisione l’estensione del suo scotoma e per monitorare il suo miglioramento Munch ebbe l’idea, innovativa e geniale, di sovrapporre una griglia di linee su alcuni dei suoi disegni. Non è mai stato compreso quale patologia oftalmica causò l’emorragia prima nell’occhio destro e, otto anni dopo, in quello sinistro (Marmor MF. A brief history of macular grids: from Thomas Reid to Edvard Munch and Marc Amsler. Surv Ophthalmol. 2000; 44 (4): 343–353).

Fig. 4. Schizzo rappresentante i corpi mobili che assumono la forma di una testa di uccello. The Munch Ellingsen Group ARS, New York (USA).

L’approccio che Munch ebbe al problema oculare fa emergere chiaramente una delle sue caratteristiche, cioè quella di essere un osservatore attento, quasi compulsivo. Le alterazioni visive descritte nei suoi disegni sono la dimostrazione della capacità di documentare con estrema accuratezza le immagini percepite durante l’evento patologico oculare. Il sapere descrivere in modo così meticoloso la propria sintomatologia fa di Munch, oltre che un grande pittore, un innovatore. Con i suoi disegni raffiguranti i sintomi oculari, egli ha posto le basi empiriche della procedura conosciuta con il termine “autodiagnosi”, vale a dire la capacità di sfruttare dei test codificati per delineare meglio determinati sintomi. Oggi, con lo sviluppo dell’informatica e di strumenti come la telemedicina, l’autodiagnosi ha assunto un ruolo molto importante nella comunicazione medico paziente durante il follow-up di molte malattie.

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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