Dom Pérignon: il monaco, lo champagne e la cecità

Probabilmente non tutti sanno che il marchio francese Dom Pérignon deriva dal nome del monaco cristiano benedettino Pierre Pérignon, cui si deve il merito di avere posto le basi di ciò che oggi definiamo champagne. In realtà, esistono più versioni della storia dello champagne, ma in ogni caso un coinvolgimento, più o meno diretto, del monaco pare certo. Sembra sia da attribuire al monaco la selezione dei vigneti più adatti alla realizzazione della nota bevanda e la miscelazione delle uve (ritenendo, in particolare, fondamentale la lavorazione dell’uva Pinot Noir), così come la scoperta di un metodo di vinificazione capace di rendere il vino frizzante.

Come vedremo, la vita del monaco è circondata da molta leggenda. Si racconta che fosse affetto da cecità, ma che, in compenso, il suo gusto e l’olfatto fossero assai potenziati, così da risultare fondamentali nel perfezionamento della sua metodica enologica (Andre Simon: The history of champagne. London, Octopus Books, 1971; Nicholas Faith: The story of champagne. New York, Facts on File, 1989).

Scopriamo qualcosa in più.

Dom Pérignon Monaco Benedettino e la Storia dello Champagne

Dom Pérignon nacque nel 1638 a Sainte Menehould, a nord-est della Francia, nella regione della Champagne-Ardenne. All’età di 20 anni entrò nell’Ordine Benedettino, dove imparò il greco, l’ebraico e approfondì le sue conoscenze teologiche. A 30 anni entrò nell’abbazia di Hautvillers, vicino ad Épernay, e lì rimase per il resto della sua vita (Fig. 1a – Fig 1b).

Fig. 1a. Abbazia San Pietro di Hautvillers.
Fig.1b. Stampa fotografica di Dom Pérignon insieme ai suoi confratelli.

Al suo arrivo, il convento e le vigne si trovavano in uno stato di totale rovina; ciò in ragione delle guerre (e i conseguenti saccheggi) che avevano causato la distruzione di interi villaggi e così l’allontanamento dalle abbazie e dai conventi e quindi il decadimento delle annesse vigne e, più in generale, la devastazione dell’intera regione. 

A fronte di tanta desolazione, Dom Pérignon si adoperò per rimettere in sesto l’abbazia e in particolare a riportare a nuovo le vigne. Poco dopo il suo arrivo, in ragione della sua dedizione alle vigne e, al contempo, della significativa formazione e conoscenza culturale di cui era dotato, il monaco fu nominato procuratore dell’abbazia – e quindi responsabile della gestione degli affari – e sovraintendente delle cantine e della dispensa. Poiché la riscossione delle tasse e la vendita del vino rappresentavano le due più importanti fonti di reddito, i monaci ritenevano opportuno affidare ad un solo soggetto – scelto tra i più avveduti – le finanze e il controllo delle viti.

L’intervento del monaco assicurò alle vigne dell’abbazia una vera e propria rinascita; ciò grazie alla cura e attenzione dallo stesso adottata nella scelta delle uve migliori (la sua scelta, come detto, cadde principalmente sul Pinot Noire) e dei terreni più portati alla produzione. Il monaco, inoltre, affinò le tecniche del taglio dei vini (assemblaggio di uve dello stesso tipo provenienti da zone diverse) e arrivò a preferire una spremitura dolce per ottenere un mosto chiaro pur partendo da uve a bacca nera; tutte tecniche caratteristiche, ancora oggi, della produzione dello champagne (Fig. 2). Seppure i vini della zona fossero già dal medioevo molto noti, con l’apporto di Dom Pèrignon la loro fama aumentò sino ad arrivare alla tavola di Luigi XIV.

Fig. 2. La produzione dello champagne: dalle botti alle bottiglie.

Tuttavia, la partecipazione dell’attività del monaco nella trasformazione del vino fermo in vino spumante si presta però a diverse letture.

Secondo alcuni, lo champagne nacque per caso durante il processo di vinificazione di alcuni vini bianchi nel monastero; un errore avrebbe causato lo scoppio di alcune bottiglie poste ad affinare in cantina, da cui fuoriuscì la “spuma”; tale evento fece intuire al monaco che ci fosse il modo di rendere il vino frizzante. In sostanza, secondo tale lettura, il monaco si limitò a portare alla luce il processo attraverso cui il vino fermo veniva trasformato in spumante. Per altri, invece, Dom Pérignon, spinto dal proprio perfezionismo, sviluppò in prima persona una metodologia enologica volta a rendere più gradevole il vino, aggiungendo durante l’imbottigliamento fiori di pesco e zucchero (che portava il vino a una rifermentazione rendendolo frizzante) e più efficace la conservazione delle sue proprietà (comprese le “bollicine”), chiudendo la bottiglia con tappi di legno di forma tronco-conica. Fino a quel momento in Francia le bottiglie venivano sigillate con un pezzo di legno avvolto nella canapa, prima immerso nell’olio d’oliva (Fig. 3).

Fig. 3. Sistema di bloccaggio della bottiglia di Champagne (tappo corda).

Sebbene questi tappi fossero adatti a mantenere la polvere fuori dal vino, non formavano una tenuta sufficiente per trattenere il gas di anidride carbonica. Consapevole di ciò e del fatto che fosse la seconda fermentazione a rendere mosso il vino, Dom Perignon, decise di chiudere le bottiglie con il sughero prima che avvenisse la seconda fermentazione, così da mantenere l’anidride carbonica “in sospeso” fino al momento dello stappo.

A prescindere dal ruolo più o meno attivo che si intende riconoscere al monaco, si deve a quest’ultimo il pregio di avere intuito la relazione tra l’effetto schiuma e la rifermentazione del vino (Fig. 4).

Fig. 4. "La Champagne - Dom Pérignon alla scoperta della schiuma”, cartolina da un dipinto di Armand Guery.

Dom Pérignon era davvero cieco?

Come vi ho accennato, sulla storia del monaco, e in particolare sulla sua cecità, non c’è assoluta certezza (J. D Bullock, J. P. Wang, G.H. Bullocck. Was Dom Perignon Really Blind? Surv. Ophthalmol. 42:481-486, 1998). Nelle fonti storiche e guide enologiche ritroviamo alcuni richiami, anche in merito al disturbo che avrebbe afflitto il monaco, ma senza alcuna prova storica o documentazione scritta. Anzi, sono stati trovati libri mastri e lettere scritte da Dom Perignon, che non mostrano alcun indizio della sua cecità.

Entriamo più nel dettaglio.

La Fodor’s Guide consacra genericamente Dom Pérignon come il creatore dello champagne e abbraccia la leggenda della cecità del monaco. Nella guida, infatti, si legge: “ Hautvillers è l’antica dimora di Dom Perignon (1638-1715), l’inventore dello champagne… la cui cecità ha accresciuto le sue papille gustative e olfatto…”:

Nicholas Faith, autore della “Storia dello Champagne”, attribuisce a Dom Perignon la creazione della famosa bevanda ma sostiene che il “mito” delle origini dello champagne ha avuto inizio molto dopo la morte del monaco. L’autore precisa che si deve a Dom Grossart, ultimo successore di Perignon come procuratore ad Hautvillers prima che la Rivoluzione francese spazzasse via l’ordine monastico nel 1821, la diffusione della relazione tra il monaco e la famosa bevanda francese. Grossart, ormai vecchio, scrisse una lettera che reclamizzava i successi di Dom Perignon come “il cieco inventore dello champagne” e attribuì a Perignon i numerosi progressi nella viticoltura e nell’enologia che erano avvenuti durante la sua vita (Nicholas Faith: The story of champagne. New York, Facts on File, 1989).

L’unico elemento “concreto” è dunque la lettera di Grossart, nato diversi decenni dopo la morte di Dom Perignon e quindi le cui affermazioni potrebbero essere il risultato di fraintendimenti o esagerazioni probabilmente con l’obiettivo di far guadagnare notorietà all’abbazia. 

Come comprenderete, non possiamo affermare con certezza se Dom Pérignon fosse o meno cieco quando ha perfezionato lo champagne o se si tratta di una mera leggenda nata per alimentare la sua fama di “Padre dello Champagne”.

Molte obiettività storiche contraddicono la leggenda della cecità del monaco; consideriamo che:

  • la produzione di champagne era un processo scientifico che richiedeva un’attenta misurazione, pesatura e registrazione, ed è quindi assai inverosimile che Pérignon fosse cieco quando stava perfezionando la bevanda;
  • a sostegno della cecità del monaco, è stato ipotizzato un acuto senso del gusto e dell’olfatto; in realtà, ancora oggi, c’è un malinteso comune secondo cui le persone carenti in un senso sperimentano automaticamente un miglioramento di tutti gli altri sensi. Anche se c’è del vero in questa convinzione, la perdita della vista non comporta automaticamente l’aumento di tutti i sensi. Infatti, vi sono prove scientifiche certe che i sensi dell’olfatto e del gusto non si sono potenziati nei pazienti sordi o ciechi (Diekman H, Walger M, Con Wendel H: Sense of smell in deaf and blind patients. HNO 42:264–269, 1994). Invece, è dimostrato che i ciechi possono semplicemente compensare la loro mancanza di vista facendo più affidamento sui loro sensi uditivi e tattili (Alho K, Kujala T, Paavilainen P, et al: Auditory processing in visual brain areas of the early blind: evidence from eventrelated potentials. Electroencephalogr Clin Neurophysiol 86:418–427, 1993);
  • appare più probabile che i sensi olfattivi e gustativi del monaco siano stati migliorati da una vasta pratica ed esperienza dovuta agli anni dallo stesso trascorsi a produrre e degustare vini piuttosto che da un’anomalia visiva;
  • seppure dovessimo abbracciare la leggenda, non sembrerebbe comunque possibile riconoscere la cecità del monaco già nella sua giovinezza. Per andare a scuola e imparare l’ebraico, il greco e le scritture, avrebbe dovuto essere in grado di vedere; all’epoca, infatti, non esisteva un sistema di lettura per i non vedenti (elaborato per la prima volta ben cento anni dopo la morte del monaco). Inoltre, la cecità non gli avrebbe permesso di tenere registri contabili così dettagliati per l’abbazia o di svolgere tutte le sue immense responsabilità amministrative;
  • oltre a catturare l’effervescenza in una bottiglia, Dom Pérignon ha ideato un metodo per sigillare le bottiglie con sughero e trattenere i tappi con lo spago; questo sarebbe stato impossibile con la cecità clinica (Forbes P: Champagne: The wine, the land and the people. New York, Reynal & Company-William Morrow & Company, 1967).

È impossibile trarre conclusioni definitive. A tale proposito, concludo richiamando le parole di Richard Fetter, autore di Dom Perignon – L’uomo e il mito, il quale scrive: “Purtroppo la storia è un mito e non di più… La verità è scomparsa negli oltre due secoli e mezzo dalla morte di Dom Pérignon. Come i poemi epici omerici e i racconti dei menestrelli erranti, le storie di Dom Pérignon sono arrivate fino a noi nel corso degli anni, abbellite e adornate, la loro accuratezza persa nella polvere del tempo”. 

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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