Cesare Lombroso: Il criminale si riconosce dalla faccia?
Molti potrebbero chiedersi in che modo Cesare Lombroso, noto medico, antropologo, giurista e criminologo veronese della seconda metà dell’Ottocento (Fig.1), possa avere una relazione con il tema della vista. A dire il vero, i punti di contatto sono davvero significativi. Gli studi di Lombroso, infatti si basavano sulla ricerca di aspetti definiti peculiari della forma delle ossa del cranio e di alcuni parti del cervello. Un acuto spirito di osservazione, dove la vista era concentrata sul particolare gli ha consentito di poter affermare che alcuni comportamenti dell’essere umano potessero avere una relazione con le proprie caratteristiche anatomiche del volto e del cervello.
Chi è Cesare Lombroso? Cos’è l’Atavismo?
Lombroso nacque a Verona nel 1835 e si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Pavia nel 1852 dove si laureò nel 1958. Dopo la laurea proseguì gli studi accademici in psichiatria, igiene, antropologia, criminologia e medicina legale, frequentando anche l’Università di Padova e l’Università di Vienna. Dal 1871 al 1873 diresse il manicomio di Pesaro, dopodiché, a seguito di un altro incarico presso l’Università di Pavia, proseguì la propria attività come professore ordinario di medicina legale all’Università di Torino.
Come per molti scienziati di quel tempo, il pensiero di Lombroso fu fortemente influenzato dalle idee del noto biologo inglese Darwin, secondo il quale i criminali potevano essere considerati dei retaggi del passato dell’albero filogenetico, cioè degli esseri “fermi” alle prime fasi dell’evoluzione. Sulla base di ciò, l’uomo delinquente veniva rappresentato come una forma ancestrale di essere umano, con caratteristiche antropologiche e reazioni fisiologiche diverse da quelle dell’uomo “normale” (C. Darwin. The origin of species. 1859).
In tale contesto, Lombroso, partendo dall’analisi di un certo numero di malavitosi, sviluppò la teoria dell’atavismo criminale, e sostenendo che determinati tratti somatici di un individuo rivelavano specifici caratteri e comportamenti criminali connaturati (v. raccolta di disegni e di fotografie – dagherrotipi – di criminali e sospetti tali; (fig. 2a-2b), finì per associare i “fuorilegge” a remotissimi antenati della razza umana. In sostanza, secondo le prime teorie lombrosiane, sussisteva una inevitabile corrispondenza tra aspetto fisico e propensione al crimine; in particolare, le sue teorie si basavano sulla ricerca di aspetti definiti peculiari della forma delle ossa del cranio e di alcuni parti del cervello, ritenendo che a causa della sua conformazione craniale il criminale subiva una sorta di regresso mentale ai suoi istinti più primordiali, e pertanto era geneticamente predisposto a compiere reati e misfatti (C. Lombroso, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, Torino, Fratelli Bocca, 1896-1897).
Si tratta, senza dubbio, di una teoria che ha suscitato molto interesse, ma anche “chiacchiericcio” e critiche. Lo stesso Lombroso successivamente si rese conto, anche in forza della propria esperienza scientifica, che la tendenza al crimine non fosse predeterminata solo da caratteristiche fisiche, ma anche (e soprattutto) dalla combinazione di diverse cause esterne, come lo sviluppo culturale dell’individuo, le condizioni sociali e l’alimentazione. A tale proposito, meritano di essere richiamate le considerazioni sviluppate dallo studioso in relazione all’estrema situazione di miseria in cui versava il ceto contadino nella società italiana post-unitaria e all’influenza di tali condizioni nello sviluppo neurologico della gente appartenente a quel ceto (Ficarra, Pietro; La modernizzazione in Italia e Lombroso; Roma, Edizioni di Storia e Letteratura; 2016).
Al fine di ottenere una rappresentazione veritiera dei delinquenti, Lombroso si attivava per osservare e studiare tali soggetti anche fuori dagli “zoo antropologici”, vale a dire dalle carceri e dagli istituti penitenziari (Fig. 3), dove il loro comportamento era falso e innaturale; spesso, infatti, con l’aiuto di un servitore, scovava tali soggetti in luoghi oscuri di “vita vera”, e offrendo loro del denaro si faceva portare da amici e “colleghi” latitanti. Ascoltava esultante i loro racconti pieni di agghiaccianti vanterie, prendeva nota delle loro misure antropometriche (in particolare craniometriche), le pesava e le mostrava ai suoi studenti in classe (C. Lombroso. L’uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all’estetica. 6th ed. Turin: Bocca; 1894).
Cosa rimane oggi di Lombroso e delle sue teorie?
Probabilmente niente se guardiamo ai dettagli. Le sue teorie erano caratterizzate da difetti metodologici (come la scarsa tecnica di campionamento, parzialità nella raccolta dei dati, un’elaborazione statistica assai ridotta) e, soprattutto agli inizi, condizionate dalla sua idea/convinzione che le stigmate fisiche della criminalità fossero intrinsecamente di natura biologica, piuttosto che la conseguenza dello sviluppo psicologico dell’individuo, dall’ambiente dove viveva e le sue condizioni sociali. Come visto, infatti, tali elementi furono analizzati da Lombroso solo in un secondo momento. Tuttavia, considerando il periodo storico e le conoscenze di allora, il lavoro di Lombroso è stato molto importante. Innanzitutto, ha posto l’accento su un autentico fenomeno culturale mondiale, che da allora è stato continuamente oggetto di studio (Delia Frigessi. Cesare Lombroso; Torino, Giulio Einaudi editore, 2003). In secondo luogo, come forte sostenitore del determinismo biologico nel comportamento, ha avuto un’influenza diretta sull’evoluzione del pensiero antropologico. Ha dato grande importanza a fatti, osservazioni e misurazioni come base su cui costruire teorie sul comportamento. Vide, nella struttura e funzione del cervello e nelle caratteristiche del corpo, la base per comprendere la psicopatologia. A suo avviso, la psicopatologia era, fondamentalmente, neuropatologia e più in generale “somatopatologia”. Fu tra i primi a considerare la criminalità, negli uomini e nelle donne, come un fenomeno degno di studio scientifico (Fig. 4).
Conclusioni
A chi non è mai capitato di incontrare una persona per la prima volta e farsene un’idea generale solo basandosi sull’aspetto fisico?
Quotidianamente ci facciamo condizionare da pregiudizi e da stereotipi, che possono portarci alla formulazione di un’opinione iniziale, che molte volte si rivela fortemente erronea.
Pensiamo banalmente alla bellezza fisica e a quanto un viso aggraziato, uno sguardo profondo, possano aiutare nelle relazioni con gli altri. Allo stesso tempo, pensiamo a come un aspetto deforme, il viso squadrato, la fronte bassa, il naso adunco possano indurre nell’interlocutore un’idea negativa di una persona, in quanto elementi in grado di suscitare diffidenza.
Negli ultimi decenni la scienza, la medicina e la criminologia hanno continuato a cercare una corrispondenza tra le caratteristiche apparenti del fisico e la vera realtà di una persona, arrivando tuttavia a concludere che non esiste una vera e propria derivazione matematica come formulata ai primi tempi di Lombroso.
Quindi, quando incontriamo per la prima volta una persona, anche se ci appare poco gradevole e a pelle ci sentiamo poco in sintonia è bene pensare che si tratta di un essere umano con la sua storia, i suoi problemi, ma anche i suoi pregi. Spesso l’apparenza inganna.
Alberto Trabucchi
Occhiocapolavoro
Dott. Giuseppe Trabucchi – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica
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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154