Truccarsi: "fare apparire" o "raccontare"? Intervista con la make-up artist Elisa Feltrin
Introduzione
Per alcuni è solo uno strumento di “costruzione” della bellezza, per altri è una forma di espressione, che va ben oltre l’apparire e tocca con eleganza e introspezione anche aspetti profondi della percezione propria di una persona.
Può esserci, senza vedersi. Può mostrarsi con tanta evidenza. Cos’è? Il trucco.
Spinti dalla curiosità di comprendere la funzione del make-up nella società attuale, con particolare riferimento al ruolo degli occhi e dello sguardo in tale ambito, ci siamo rivolti a chi di pennelli, cosmetici e comunicazione ha fatto la propria vita e professione: la make-up artist Elisa Feltrin.
Di origini venete, trapiantata a Milano, ormai dai tempi dell’università, ha vissuto a Londra per un breve periodo. Condivide la passione per il trucco e l’hairstyle con la sorella Anna, con la quale ha creato la realtà “Le Feltrin”. Una professionista seria, meticolosa e solare, spiccatamente empatica. Per lei il trucco è autenticità.
In una società fortemente propensa all’appagamento estetico e spesso alla valorizzazione esasperata dell’apparenza esteriore Elisa ci ha raccontato la sua idea di trucco, condividendo i valori e principi a cui si ispira nel mettere in pratica la sua professione e professionalità. In primis, l’amor proprio. Per Elisa, infatti, il look ottimale non può prescindere da una consapevolezza di sé stessi, con conseguente rispetto e cura dell’essenza e bellezza della persona. Con tale approccio, l’occhio non può che assumere un ruolo assai rilevante.
1) Il trucco è una pratica molto antica, secondo te oggi come viene concepito a livello sociale: come una mera velleità estetica o come mezzo per comunicare qualcosa? La volontà di truccarsi è legata esclusivamente ad un aspetto esteriore o risponde ad un’esigenza in un certo senso “sociale” e psicologica?
Il trucco è da sempre un efficace mezzo di espressione sia delle persone, sia del contesto sociale. Pensiamo agli Egizi che erano soliti truccarsi – indipendentemente dal sesso – per motivi estetici, ma soprattutto religiosi e protettivi. Ritenevano, infatti, che il trucco, rendendoli più belli ed eleganti, li avvicinasse agli dèi e che in generale potesse proteggerli da alcuni fattori esterni invasivi (come sole, insetti e infezioni) e dal male. Nel Medioevo, invece, le influenze religiose, politiche e sociali hanno determinato una significativa limitazione nell’uso del trucco, poiché, soprattutto dalla Chiesa, veniva considerato un puro atto di vanità, una pratica futile e, in alcuni casi, addirittura ingannevole.
Non è un caso che, dopo la Prima guerra mondiale, durante gli anni di grande espansione industriale, prosperità economica e di dinamismo sociale e culturale, e in concomitanza alla significativa diffusione del cinema in bianco e nero, il trucco, per quanto ancora “rudimentale”, abbia trovato proprio in quel periodo storico di significativo mutamento una propria dimensione tanto nel cinema, quanto nel pubblico generale, e ciò anche grazie alla nascita di nuove aziende di cosmetici, e quindi della conseguente produzione di massa e della pubblicità, che ne hanno reso possibile la diffusione e l’acquisto a prezzi più accessibili. Così dalle attrici alle donne comuni il trucco rappresetato il desiderio di emancipazione e modernità, contribuendo – insieme alle grandi innovazioni nella moda (come la gonna sopra il ginocchio) – a creare l’immagine di una donna diversa, e in alcuni casi più consapevole e autonoma.
Passando ai giorni nostri, l’idea del make-up oggi è forse una sintesi, in un certo senso avanzata, di tutte le opinioni del passato: è estetica (considerata l’attuale importanza del prendersi cura del proprio aspetto esteriore), è però anche comunicazione di ciò che siamo e vogliamo trasmettere. Senza dubbio il trucco segue l’evoluzione della nostra personalità ed età, parimenti ai vestiti, i capelli, etc. Tuttavia, senza dilungarmi troppo, nel contesto lavorativo alcune volte il trucco deve essere ancora “gestito”. Mi spiego non tutte le donne si sentono libere di applicare il rossetto del colore che vogliono (magari più acceso) o di evidenziare l’occhio, etc. perché temono di apparire ai propri interlocutori superficiali e di comunicare un’idea non veritiera di ostentazione. È evidente quindi come il trucco non possa essere ridotto a un mero strumento di “abbellimento”, in quanto nel bene e nel male ci racconta qualcosa non solo della persona, ma anche del contesto sociale e culturale.
2) Quando devi decidere il trucco per una persona su quale elemento/caratteristica poni maggiore attenzione?
Prima di partire con la fase operativa, cerco di capire se e come la persona si trucca perché è fondamentale ricostruire la sua “versione di bellezza” e l’immagine che ha di sé e soprattutto conoscere come è abituata a vedersi e come vuole sentirsi.
Per impostazione professionale tendo sempre a seguire la natura della persona, sia dal punto di vista caratteriale, sia estetico. Non voglio che il trucco diventi una maschera, ma piuttosto un’esaltazione dell’essenza di chi sto truccando. Per tale motivo, di norma uso colori molto naturali. Definisco, infatti, la mia attività come “un’interpretazione” piuttosto che una vera e propria “performance”. Naturalmente, per avere un risultato coerente, individuo i punti di forza estetici ed espressivi (occhi, bocca, etc.) così da evidenziarli, senza però mai stravolgere i lineamenti. Prediligo sempre un risultato naturale e fresco.
3) Quanto sono importanti gli occhi nel determinare la tipologia di trucco? Consideri solo forma, colore e dimensione o anche la loro forte componente espressiva?
Non solo sono importanti, ma li definirei fondamentali. Il trucco degli occhi ha senza dubbio un ruolo rilevante nel risultato dell’esecuzione del make-up finale, avendo una significativa funzione decorativa ed estetica, ma anche correttiva. È infatti utile a riequilibrare il viso, dare simmetria e anche a garantire un effetto più giovane. La corretta e “strategica” applicazione dei prodotti nella zona degli occhi, ancora di più della scelta dei colori, fa davvero la differenza: ad esempio, tramite un mascara volumizzante (e magari delle ciglia finte per riempire) l’occhio appare più aperto e luminoso, oppure sfumando il trucco verso la parte alta degli occhi e in modo inclinato seguendo la diagonale dell’asse zigomatico è possibile verticalizzare il viso, o ancora a seconda di come viene truccato l’incavo si definisce l’intensità dello sguardo e si possono correggere eventuali imperfezioni come la palpebra cadente, etc. Si tratta infatti della zona a cui tendenzialmente dedico più tempo. D’altronde, lo sguardo è il nostro tratto distintivo e probabilmente uno degli elementi che rimane più impresso nel ricordo di una persona. Gli occhi, per me, sono spesso i protagonisti del make-up e per conferire loro la giusta importanza non si può prescindere dal considerare la profondità emotiva che li caratterizza e ciò che vogliono raccontare o, al contrario, “camuffare”.
4) Si dice che gli “occhi sono lo specchio dell’anima” ritrovi questa corrispondenza anche nella tipologia di trucco che ti viene richiesto da una persona? Il trucco collima con la personalità o è anche uno strumento per dare un’immagine diversa rispetto al proprio modo di essere?
Di norma sì ritrovo una correlazione. Proprio per questo, come ho detto prima, quando devo truccare una persona cerco di avere prima un dialogo “esplorativo” in modo da identificare il look più appropriato considerando anche la sua personalità, quindi, ad esempio, per una persona riservata prediligo un trucco discreto e il più vicino possibile al naturale, se audace ed espansiva allora propongo una soluzione anche più “frizzante” e ad impatto (colori del rossetto più audaci, eyeliner alato e maggiore luminosità). Penso sia fondamentale ottenere un risultato equilibrato tra estetica e individualità.
Quando mi viene espresso il desiderio di sentirsi diversi faccio presente il “rischio” che comporta un tale uso del trucco perché, salvo non ci siano esigenze oggettive esterne, mette in luce un cambiamento forzato; infatti, sconsiglio il trucco “rivoluzionario” soprattutto nel caso in cui si tratti di una sposa o comunque di un servizio trucco richiesto per partecipare a situazioni sociali, dove il trucco scelto potrebbe quindi evidenziare il contrasto con il modo di comunicare ed essere. Il make-up, dal mio punto di vista, dovrebbe promuovere l’individualità e le particolarità di qualsiasi persona, esprimendo, con libertà e creatività, la sua bellezza e visione.
Diverso è invece il correggere/migliorare un’imperfezione (anche se spesso è una presunta tale).
5) Qual è la tecnica e/o il cosmetico che valorizza maggiormente lo sguardo?
Senza dubbio il mascara, in quanto definendo la linea molto vicina agli occhi assicura una maggiore apertura dello sguardo e alza i contrasti, valorizzando il colore degli occhi. Anche la cura e la manualità nell’applicazione è importante perché più il prodotto viene steso in modo omogeneo e spingendo verso l’alto dalla radice alle punte maggiore sarà la definizione che si ottiene: in tale modo, infatti, l’occhio appare più allungato e risollevato. Un altro elemento che contribuisce alla valorizzazione e al risalto degli occhi è l’eyeliner, vale a dire il liquido o gel colorato, di norma di tonalità scura, che si applica sulla palpebra superiore, parallelamente alla rima ciliare. In base alla modalità di applicazione, può allungare l’occhio e “abbellirlo” o incorniciarlo (mediante, ad esempio, linee grafiche e creative, colori, etc.) evidenziandone l’espressività.
6) Il trucco è uno strumento per coprire o riscoprire se stessi? È maggiormente utilizzato per nascondere o valorizzare?
Si tratta di una questione molto soggettiva. In termini generali, possiamo dire che il trucco può essere uno strumento di comunicazione e benessere in quanto utile per accettarsi e, allo stesso tempo, scoprirsi e valorizzarsi. Sicuramente da alcune persone viene utilizzato per nascondere e/o correggere eventuali imperfezioni o macchie ma anche la propria personalità, cercando di risultare più sicure di quello che si è o anche meno “semplici”, più dominanti.
Però devo dire che nella mia esperienza professionale non è una situazione ricorrente. Probabilmente ciò è dovuto alla comunicazione che faccio, ai messaggi che cerco di veicolare. Sia tramite i social, sia negli incontri conoscitivi che organizzo con le potenziali clienti, o nell’ambito della mia newsletter, così come in ogni occasione in cui mi trovo ad esprimere la mia opinione, evidenzio sempre l’importanza dell’accettarsi. Visto che la mia professione è fortemente connessa all’estetica, penso sia corretto da parte mia sensibilizzare gli altri all’amore verso se stessi. Può sembrare paradossale, ma sono una “sostenitrice” dell’idea del “non trucco”. A prescindere dal fatto che, come ho detto, propongo perlopiù look naturali e nude, desidero trasmettere un’idea di “libertà” dal trucco, che quindi non deve diventare un’imposizione, né una “dipendenza”. Quando si sfocia in una situazione di abuso del make-up si annulla la sua funzione positiva, amplificando peraltro la forza di eventuali complessi. Occorre restare padroni della propria immagine.
7) Nella tua esperienza professionale noti una fissazione eccessiva per l’apparenza, che va ben oltre il concetto di cura e benessere arrivando ad una vera e propria “ansia da bellezza”?
Sicuramente i social non aiutano mostrando spesso immagini patinate, quasi irrealistiche. Filtri, tecniche di posa e la scelta minuziosa delle luci, contribuiscono all’esibizione di visi e corpi perfetti, che inevitabilmente incidono sulla difficoltà di vedersi e mostrarsi al naturale. Noto purtroppo anche un ricorso abbastanza significativo alla chirurgia in giovane età.
Generalizzando, non si può negare una certa “tensione” verso l’apparenza, e ciò a discapito dell’autenticità. La necessità di apparire costantemente nella versione migliore di se stessi condiziona la gestione della propria immagine. In alcuni casi, si diventa schiavi dei cosmetici e di una rappresentazione di noi stessi “artefatta” con il conseguente timore di rivelarci per ciò che siamo, considerando difetti ciò che in realtà sono delle normali caratteristiche. Per fortuna, oltre al movimento della body positive (che mira a normalizzare ogni tipo di corpo, a prescindere da peso, taglia e conformazione, quindi anche quelli considerati lontani dai canoni di bellezza del momento), si sta diffondendo anche la skin positive, che promuove l’accettazione di ogni tipo di pelle e di quelle che vengono considerate imperfezioni. Spesso i “segni” della pelle pregiudicano significativamente l’autostima delle persone, le quali considerandoli inaccettabili difetti tendono a nascondersi.
In generale, è normale provare delle insicurezze, ma queste non devono farci sentire sbagliati, né vivere nel timore di essere derisi. Seppure ancora in minima parte, è però piacevole vedere come anche sui social – e da parte di alcuni personaggi famosi – si stia tentando di cambiare la rappresentazione del concetto di bellezza, svincolandolo da quello di perfezione, che di per sé è inesistente. Così c’è chi ha abbandonato i fotoritocchi, chi mostra le caratteristiche della propria pelle con massima trasparenza e sincerità parlando del disagio che ciò ha provocato ma dando la forza di superare tale situazione e individuano come “normali” situazioni che vengono spesso considerate il contrario. È proprio in tale contesto che il make-up assume il suo giusto valore e ruolo di strumento in grado di far risaltare la propria bellezza e non certo come irrinunciabile “bacchetta” per coprire.
8) Ultimamente si parla molto di tween skincare, vale a dire dell’ossessione di teen e preadolescenti (quindi di bambini/ragazzi tra i 9 e i 12 anni) per “rituali di bellezza” e l’uso di cosmetici spesso non adatti alla loro giovane pelle e alle relative esigenze (usando già a quell’età addirittura prodotti per rallentare il processo di invecchiamento), hai notato un fenomeno simile, quindi un approccio precoce, anche nel trucco? Soprattutto per le più piccole, hai riscontrato una sorta di emulazione non solo verso il trucco degli adulti, ma anche delle loro coetanee? In sostanza, il trucco per le più giovani è percepito come un mezzo di inclusione?
Noto una maggiore attrazione alla beauty routine piuttosto che al trucco. Senza dubbio, però, anche il make-up suscita un significativo interesse nelle giovanissime fino a organizzare party di compleanno a tema, in cui le ragazzine si divertono ad applicare smalti, trucchi, e a scambiarsi consigli etc. Oggi però non si tratta di bambine che per un giorno “giocano” a fare le grandi, copiando la mamma, la sorella, etc. Qui siamo ben oltre. Ci troviamo a gestire un vero e proprio fenomeno sociale, in cui ancora una volta i social giocano un ruolo fondamentale, sia come fonte di contenuti, sia come veicolo degli stessi. Se, da un lato, le ragazzine imitano ciò che fanno le influencer, quindi, ripetono trucco e abbigliamento, dall’altro lato, tendono a diventare esse stesse delle baby influencer. Mi vengono in mente gli innumerevoli video di Tik Tok che mostrano preadolescenti impegnate a fare shopping in noti negozi di make-up o che mostrano come utilizzano alcuni prodotti, soprattutto quelli utili a creare un effetto glow, quindi luminoso (come illuminanti, brillantini e simili). Così, se per le generazioni precedenti il trucco era semmai uno strumento di creazione di momenti di condivisione (come divertenti pigiama party) oggi, per le ragazzine, ha una connotazione molto più estetica e comunque esteriore. Diventa un mezzo di inclusione nei termini in cui il trucco è un qualcosa per farti “apparire” giusta. Non è un caso che proprio in prossimità dell’inizio della scuola spopolavano numerosi video sui social per trovare e ripetere il make-up perfetto per fare “bella figura” il primo giorno.
Occhiocapolavoro
Dott. Giuseppe Trabucchi – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica
P.IVA 02128970031 – C.F. TRBGPP59D30E463K
Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154