Dai dipinti cupi e grigi al trionfo dei colori caldi: la metamorfosi cromatica di Vincent van Gogh

La primavera è arrivata e presto sarà estate. È in questo periodo di transizione che la natura, uscendo dal rigore invernale, sprigiona tutta la sua forza: gli alberi da frutto si colorano, i campi si coprono del manto del colore della fioritura dei semi che hanno portato nel grembo (dal verde dell’erba che diventerà fieno al giallo del grano, e ancora l’arancione del mais e, in alcune regioni, dei girasoli).

Si tratta di un fenomeno affascinante.

La rinascita che la natura ogni anno mette in atto è stata spesso il fulcro dell’arte pittorica. Tra i tanti artisti che si sono cimentati con il pennello per cogliere tutta questa bellezza, Vincent van Gogh (Fig 1) è stato colui che più di ogni altro ha lasciato la testimonianza più toccante. L’uso del colore assolutamente unico e innovativo nella rappresentazione dei paesaggi rupestri e dei campi in fiore ha reso i suoi dipinti apprezzati e amati da intere generazioni fino ai giorni nostri.

Per l’artista il colore era l’essenza della sua espressione; affermava, infatti:

 “Invece di cercare di riprodurre esattamente quello che ho davanti agli occhi, uso più arbitrariamente il colore per esprimermi con forza”  tratto da Lettere a Theo di Vincent van Gogh, Garzanti, 2018.

Fig. 1. Vincent Van Gogh, Autoritratto, 1989, Museo d’Orsay, Parigi.

Storia di una metamorfosi cromatica

L’uso del colore non è rimasto immutato nei dipinti di Vincent Van Gogh. Il suo stile, sebbene sempre molto caratteristico e rappresentativo, nel riprendere i paesaggi e i volti delle persone ha avuto una continua evoluzione, fino a culminare nel suo massimo splendore cromatico negli ultimi anni di vita durante il suo soggiorno ad Arles e Saint Remy in Provenza.

Come per molti grandi personaggi artistici la vita di Van Gogh (1853-1890) non è stata scandita da comportamenti e consuetudini regolari, bensì dalla costante ricerca di nuovi stimoli e dall’alternanza di momenti di normalità ad altri di profonda solitudine e depressione. Molto di ciò che conosciamo di lui deriva dalla corrispondenza che ebbe tutta la vita con il fratello minore Theo, mercante d’arte che gli fornì spesso il sostegno finanziario necessario per dipingere, ma soprattutto gli fu sempre vicino nei momenti difficili (Bakker N, Jansen L. The real Van Gogh: the artist and his letters. London: Royal Academy of Arts, 2010). È analizzando tali scambi che in qualche modo siamo in grado di comprendere la portata dell’evoluzione dello stile di Van Gogh durante la sua breve vita. L’artista, infatti, mori suicida a soli37 anni.

Figlio di un pastore protestante calvinista fin da giovane manifestò la passione verso il disegno; passione, tuttavia, non condivisa dalla famiglia, che lo spinse infatti al lavoro presso la Goupil & Cie all’Aia, società che si occupava della vendita di opere d’arte.

Inquieto e alla ricerca di nuovi orizzonti di vita, nel 1876, lasciò questa attività per trasferirsi a Ramsgatge, un sobborgo industriale alla periferia di Londra, dove trovò lavoro come supplente presso la scuola del reverendo metodista William Port Stokes. Van Gogh, in questo modo, poté dare libero sfogo al suo misticismo religioso coltivato sul modello del padre, riuscendo ad ottenere un incarico semestrale presso la Scuola Evangelista di Bruxelles. In occasione del nuovo lavoro decise di andare a vivere a Wasmes, nel Borinage, una regione carbonifera belga dove i lavoratori versavano in condizioni di estremo disagio; così Van Gogh realizzò la possibilità di una vita di umile tra gli umili.

Il periodo della pittura con colori cupi.

Nel 1883 si trasferì dai genitori a Nuenen, borgo rurale che si trova tra Eindhoven e Helmond nei Paesi Bassi. In questo ambiente Van Gogh sperimentò un impulso nuovo verso la pittura che lo portò a realizzare quasi duecento quadri e numerosissimi acquerelli e disegni. Protagonisti di queste sue opere erano i lavori umili. La sua attenzione si rivolse ai tessitori e ai contadini, che diventano infatti i protagonisti dei suoi lavori. Nonostante il processo di crescente industrializzazione del settore tessile, a Nuenen ancora in molti continuavano a tessere; tuttavia, tale attività costituiva un lavoro integrativo e spesso praticato nei mesi invernali quando si era liberi dai lavori nei campi. È proprio ai contadini che Van Gogh dedicò il famoso dipinto “I Mangiatori di Patate”.

In tutte le opere di questo periodo predominano colori scuri, confusi, grigi, marroni e verdi (Fig. 2-3).

Fig. 2. Vincent van Gogh. I mangiatori di patate. 1885. Van Gogh Museum, Amsterdam.
Fig. 3. Vincent van Gogh. Tessitore, interno con tre finestre. 1884. Rijksmuseum Amsterdam.

Le sfortune amorose, dall’amore non corrisposto per la cugina Kee a quello con la prostituta Christine Clasina Maria Hoornik, detta Sien, dalla quale contrasse la gonorrea con conseguente ricovero in ospedale, fino al fidanzamento con Margot Begemann, una ragazza di Nuenen, che si concluse tragicamente, con il tentato avvelenamento da parte di lei, determinarono in Van Gogh un’irrefrenabile necessità di dipingere, per esprimere le proprie pene.

Verso colori più luminosi.

Fu nel breve soggiorno a Parigi (1886-1887) che Van Gogh iniziò a produrre quadri più gioiosi, con gamme cromatiche più leggere e luminose; ciò probabilmente per effetto dell’influenza degli impressionisti francesi e del loro uso audace del colore. 

A Parigi sperimentò uno stile che aveva conosciuto attraverso il pittore Paul Signac, concentrando la propria attenzione sui ritratti e usando colori puri – ma più vivaci, ben lontani dagli ambienti cupi, grigi, verde scuro del periodo di Neunen – e pennellate a piccoli tocchi che ricordano il puntinismo (Wallace, R, The World of Van Gogh (1853-1890), Alexandria, VA, USA, Time-Life Books, 1969).

Il cambiamento della ricerca del colore lo si può cogliere nell’ “Autoritratto con cappello”  (Fig. 4), che è uno dei venti autoritratti che Van Gogh dipinse nel suo breve soggiorno parigino e nel Ritratto di Patience Escalier (Fig. 5). In tale periodo si coglie l’ossessione” di Van Gogh per le figure umane e l’incessante ricerca delle innumerevoli sfaccettature dell’umanità, tanto negli altri quanto in se stesso.

Lui stesso affermò:

Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali, perché negli occhi degli uomini c’è qualcosa che non c’è nelle cattedrali” tratto da Lettere a Theo di Vincent van Gogh, Garzanti, 2018.

Fig. 4. Vincent van Gogh, Autoritratto con cappello, 1887-88, Van Gogh Museum, Amsterdam.
Fig. 5. Vincent van Gogh, Ritratto di Patience Escalier, 1888. Collezione privata.

L’esplosione dei colori caldi

È ad Arles, in Provenza, che l’artista sprigionò definitivamente nella sua pittura tutta la potenza dei colori “audaci” che nell’immaginario collettivo gli associamo. Complici la luce, le calde tinte mediterranee e il clima mite della Provenza, Van Gogh trascorreva molto tempo a dipingere all’aperto approfittando delle giornate soleggiate, ben più lunghe rispetto a quelle dei Paesi Bassi.

Quando la maggior parte delle persone pensa a Van Gogh, il primo colore che viene in mente è il giallo dorato, radioso e caldo, dei girasoli gialli e dei campi (Fig. 6-7).

Fig. 6. Vincent van Gogh, I Girasoli, 1889, Van Gogh Museum, Amsterdam.
Fig. 7. Vincent van Gogh, Campo di grano, 1888, Stichting P. en N. de Boer, Amsterdam.

Purtroppo, l’esplosione cromatica coincise, in modo drammatico, con l’aggravamento dei suoi problemi di salute psichica. Una ricerca dell’UMCG di Groningen, pubblicata sull’International Journal of Bipolar Disordes, ha svolto un’attenta rilettura delle oltre novecento lettere scritte in vita dall’artista, nonché le cartelle cliniche dei medici che ebbero in cura Van Gogh, tra gli altri Paul Gachet (Fig. 8), lo psichiatra amante dell’arte, immortalato dal pittore nel celebre ritratto del 1890.

Fig. 8. Vincent van Gogh. Ritratto del dottor Gachet, 1890, Collezione privata.

Questo studio ha identificato una serie di patologie differenti, tra cui la presenza di un eventuale disturbo bipolare e di una personalità borderline (Willem A. Nollen, Erwin van Meekeren, Piet Voskul et al. New vision on the mental problems of Vincent van Gogh; results from a bottom-up approach using (semi-structured diagnostic interviews. Journal of Bipolar Disordes 30, 2020). Al suo disagio psichico, che lo accompagnò sin dall’adolescenza, si aggiunsero nel corso degli anni altre aggravanti, quali la solitudine amorosa, il tenore di vita non proprio agevole e forse una sorta di predisposizione genetica alla follia (la sorella Wilhelmine trascorre quarant’anni in manicomio, mentre il fratello Cor muore suicida). Oltre a tutto questo, un ruolo importante ha avuto l’abuso di assenzio. La cosiddetta «fata verde», bevanda superalcolica diffusa soprattutto tra artisti e poeti dagli anni Trenta dell’Ottocento. Questa sostanza provocava, infatti, stati mentali alterati e pulsioni aggressive e violente, oltre a una forte dipendenza e a una percezione distorta dei colori, forse all’origine del giallo surreale usato dal pittore (Blumer D. The illness of Vincent van Gogh. Am J Psychiatry; 159:519–26. 2002).

Lo stato di salute mentale e alcuni attacchi di epilessia costrinsero l’artista ad utilizzare una terapia a base di estratti di digitale. Una teoria che ha cercato di spiegare il cambiamento nelle scelte cromatiche di Van Gogh è quella relativa al fatto che potrebbe aver sofferto di xantopsia o “visione gialla” come effetto secondario a questo medicamento utilizzato a quei tempi in modo empirico (Gruener A. Vincent van Gogh’s yellow vision. Br J Gen Pract. 63:370–1,2013). La xantopsia è un deficit della visione dei colori in cui vi è una predominanza del giallo nella visione causata da intossicazione da Digitale che determina un danno a carico dei fotorecettori della retina (Mittra, Robert A. Drug Toxicity of the Posterior Segment. Retina, 8: 1532–1554, 2013).

Tutti questi aspetti possono in qualche modo avere contribuito ad una evoluzione artistica unica, favorendo il distacco dai canoni dell’impressionismo ed esasperando la sua ricerca innovativa di autenticità e semplicità, spinta dalla “pretesa” di rendere vivo il rappresentato.

L’ultimo periodo e la sua consacrazione

Vincent invitò Paul Gauguin a raggiungerlo ad Arles, ma la loro convivenza si rivelò impossibile in ragione dei loro caratteri, molto diversi, e dalle differenti idee sull’arte. Le incomprensioni sfociarono nel tragico episodio del dicembre del 1888, quando dopo una discussione Van Gogh si mutilò un orecchio.

Nel 1889 l’artista entrò volontariamente nella Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a Saint Remy de Provence a una ventina di chilometri da Arles.

Il 16 maggio 1890 Van Gogh lasciò definitivamente Saint-Rémy per raggiungere il fratello a Parigi, dove conobbe per la prima volta il nipotino e la cognata. Pochi giorni dopo partì per stabilirsi a Auvers sur Oise, un villaggio a una trentina di chilometri da Parigi dove risiedeva un medico amico di Théo, il dottor Paul Ferdinand Gachet che si sarebbe preso cura di lui. Rientrano in tale periodo, oltre al Ritratto del dott. Gachet, anche opere con paesaggi raffiguranti case di contadini e campi di grano, giardini e fiori.

Il 27 luglio 1890 l’artista decise di togliersi la vita con una rivoltella.

La sua vita inquieta e il tragico suicidio lo hanno poi reso una vera e propria icona della modernità, simbolo del disagio esistenziale che affligge l’uomo. Van Gogh vive il dramma di un uomo che si sente escluso e si comporta da disadattato. Come per altri grandi artisti la sua pittura è disperazione e per questo fa proprio l’aspro linguaggio del realismo così come appare nel dipinto Campo di grano con corvi (Fig. 9) che viene considerato il suo ultimo quadro e del quale l’artista scrive: Si tratta di enormi e sconfinati campi di grano sotto un cielo minaccioso e ho consapevolmente cercato di evidenziare in essi la tristezza e l’estrema solitudine (Lettere a Theo di Vincent van Gogh, Garzanti, 2018).

Fig. 9. Vincent van Gogh, Campo di grano con corvi. 1890, Van Gogh Museum, Amsterdam.

Come spesso accade il grande successo artistico di Vincent van Gogh arrivò negli anni che seguirono la sua morte. Le sue opere vennero conosciute ed apprezzate grazie alla cognata, moglie del fratello Theo, Johanna Bonger. Fu proprio per la sua tenacia che molti dei suoi quadri non andarono perduti e furono esposti nelle gallerie dei mercanti d’arte di Parigi ed in seguito in tutto il mondo (Caroline Cauchi, La signora Van Gogh. Edizioni Piemme, 2023).

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Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154