Il mito di Argo "che tutto vede"
Come può un medico oftalmologo, che si occupa tutti i giorni della cura dell’occhio, non essere affascinato dal mito di Argo? Per chi non lo conoscesse si tratta di una creatura mitologica greca caratterizzata da tanti occhi sparsi sul suo corpo (Fig. 1), e pertanto chiamata dai greci i Ἄργος Πανόπτης” e dai latini “Argo Panoptes”, (letteralmente Argo dai tanti occhi).
Alcune espressioni linguistiche ancora in uso si rifanno alle peculiarità di questa creatura mitologica. Un esempio: si usa dire di una persona a cui non sfugge nulla è come un Argo oppure ha più occhi di Argo.
La mitologia di Argo è collegata alla vicenda di Zeus ed Io; tutti conosciamo Zeus, ma poco nota è la figura di Io. Si tratta di una giovane sacerdotessa al servizio di Era moglie di Zeus. Quest’ultimo si era invaghito di Io al punto di trasformarla, celando la sua vera identità e bellezza, in una candida mucca per sottrarla all’ira della moglie.
Gli sforzi di Zeus non sortirono però l’effetto sperato.
Infatti, Era, sospettosa di un possibile tradimento da parte del marito (non certo noto per la sua fedeltà), riuscì ad ottenere l’animale in dono; Zeus, al fine di fugare ogni sospetto, acconsentì alla richiesta.
Così la “mucca” fu data da Era in custodia ad Argo, il quale, grazie ai suoi numerosi occhi, riusciva a non dormire mai, chiudendone solo due per volta per poter riposare e con gli altri aperti a tenere ogni situazione sotto controllo. Zeus, dispiaciutosi per la sorte di Io, incaricò il figlio Ermes di liberarla. Quest’ultimo, camuffatosi da pastore, si avvicinò ad Argo suonando una melodia. Il gigante, affascinato dal suono, invitò il dio a sedersi. Ermes, accompagnandosi con la musica, iniziò a narrare la storia di Pan e Siringa, fino a che non riuscì a far chiudere ad Argo tutti gli occhi (Fig. 2). A quel punto, Ermes uccise il gigante tagliandogli la testa con la spada (Fig. 3), e liberò Io. Era, accortasi della morte del fedele Argo e capendo che non poteva più fare nulla per lui, prese gli occhi e li fissò sulla coda dell’animale a lei sacro, il pavone.
Da qui per molti gli “occhi” presenti sulle penne della coda del pavone sono riconducibili al mito di Argo “che tutto vede”. Non a caso il grande pittore Rubens, nel suo dipinto The Presentation of the Portrait of Marie de’ Medici, dove rappresenta Giove e Giunone (Era), il re e la regina degli dèi dell’Olimpo con loro mani che si toccano in un tenero gesto di unione coniugale, antepone alla feroce aquila di Giove, vista nell’angolo in alto a sinistra, il pavone addomesticato di Giunone (Fig. 4).
La storia di Argo è, quindi, legata al simbolismo mitologico della Grecia antica. Ovidio, nelle Metamorfosi (Libro I, versi 668-688; 713-723), descrive Argo come una creatura dotata di forza straordinaria e con ben 100 occhi (Fig. 5). Numerose altre fonti letterarie e iconografiche, dall’antichità al Rinascimento, presentano invece Argo come un guardiano dal corpo tempestato di occhi (Argo Panoptes “nato dalla terra”, in D. Gavrilovich – C. Occhipinti – D. Orecchia – P. Parenti (a cura di Ilaria Sforza), Miti antichi e moderni. Studi in onore di Edo Bellingeri, Roma 2013, pp. 13-21).
Allo stesso tempo, il mito appena raccontato ci spinge a qualche riflessione, anche con riferimento ai giorni nostri. Partiamo da Zeus e dal suo modo di amare o meglio possedere le sue numerose concubine, un comportamento, questo, descritto con una certa ricorrenza nel mondo antico. Si tratta, infatti, di uno stereotipo sul quale grava spesso una cappa di inganno e violenza, che rappresenta il cuore della seduzione divina. Un comportamento che, purtroppo, non resta confinato all’antichità, trovandolo infatti nei tanti fatti di cronaca quotidiana in cui ancora oggi “l’oggetto dell’amore” è maltrattato secondo gli stessi “principi” tremendamente distorti. Partner venerati anche se violenti e irrispettosi, differenze sessuali, vittimizzazione, pregiudizi, e potremmo continuare all’infinito con esempi di situazioni che non fanno altro che confermare come nell’età contemporanea alcune posizioni sociali e atteggiamenti siano ancora presenti, come una sorta di tremendo strascico dell’antichità, che quindi ci ricordano che se molto è stato fatto, ancora tanto c’è da fare.
Passando alla figura di Era non si può non pensare alle mille sfaccettature che compongono la personalità di una donna, in particolare alla sua duplice natura: forte e sensibile; da un lato, infatti, emerge una moglie ferita e gelosa, la quale si adopera con mille astuzie per controllare il marito fedigrafo e che a fronte di una sconfitta è capace di mettere in atto la sua vendetta; dall’altro lato, una donna tenera, che cerca di “riscattare” e rendere onore alla fedeltà di Argo (fissando i suoi occhi sulla corona di piume del pavone), ricambiando in qualche modo il suo “servizio”.
Poi c’è Ermes e la sua abilità di ammaliare, incantare e raggirare l’essere più debole fino a costringerlo ad ubbidire ad un ordine anche se ingiusto e feroce.
Infine, Argo, il gigante buono, che riconosce l’autorità altrui, rispetta gli ordini ed è disponibile al punto di sacrificare la sua vita.
La vicenda di Argo conferma ancora una volta come i comportamenti, le pulsioni del cuore e le scelte efferate caratteristiche della mitologia Greca si ripetono ancora oggi, nonostante il progresso culturale e sociale che l’uomo ha raggiunto.
“S’io potessi ritrar come assonnaro
li occhi spietati udendo di Siringa,
Li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro;”
Dante Alighieri. Purgatorio. XXXII, 64-66
Occhiocapolavoro
Dott. Giuseppe Trabucchi – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica
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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154