I paradossi visivi e le illusioni ottiche nell'arte: dall'Arcimboldo alla Op art.
Un argomento sempre affascinante per chi studia l’occhio e la visione è quello dell’illusione ottica. Abbiamo già accennato a come le alterazioni della percezione visiva possano essere responsabili di vere e propri “inganni ottici” (Quando l’occhio fa strani scherzi: le illusioni visive). Le illusioni ottiche hanno trovato nell’arte figurativa un terreno molto fertile. Numerosi artisti infatti hanno provato a giocare con le immagini in modo da ingannare l’occhio dello spettatore; nel tentativo di mostrare il mondo che ci circonda non così scontato come può sembrare a prima vista, ma con delle sfaccettature più complesse, spesso vivaci e vagamente inquietanti. Lo scopo di questo comportamento artistico è spesso provocatorio e ludico. Attraverso l’utilizzo di veri e propri inganni ottici, molti autori hanno creato rappresentazioni di impeccabile logica visiva.
Prendiamo, per esempio, il pittore Giuseppe Arcimboldi detto Arcimboldo (1527 – 1593) che utilizzò le illusioni ottiche per i suoi ritratti. Ciò che ha reso famoso tale artista è l’utilizzo delle “nature morte” di fiori, frutti, animali e altri oggetti in maniera del tutto diversa da quanto in uso nell’arte pittorica del suo tempo. Egli infatti non colloca un fiore in un vaso all’interno di un tradizionale ambiente domestico, ma si avvale di ogni oggetto per comporre soggetti umani e, in particolare, le sue famose “teste composte”. L’utilizzo di questa straordinaria, quanto innovativa, tecnica di pittura fa leva sulla facoltà della mente umana di elaborare le immagini che arrivano attraverso l’occhio, facendo così apparire un insieme di nature morte in un volto (Fig. 1).
Anche il grafico olandese Maurits Cornelis Escher, acuto indagatore delle singolarissime possibilità che si nascondono nella struttura dello spazio, fu un geniale inventore di paradossi visivi. Pensiamo alla litografia “Relatività” del 1953 (Fig. 2); si tratta di un’immagine composta da più immagini, da più scene possibili: uomini che assomigliano a delle pedine di scacchi salgono alcune rampe di scale, altri si affacciano ad un balcone, altri ancora scendono. Una delle caratteristiche della produzione artistica di Escher è proprio quella di indagare la struttura dello spazio e del piano, nonché le relazioni che intercorrono tra i due, partendo dallo studio canonico delle griglie prospettiche, ma sconvolgendo il senso comune della percezione. Le sue opere, dunque, non sono costruite a caso sulla base del solo estro illusionista, ma hanno un solido legame con la geometria. Relatività, per esempio, prende corpo a partire da tre corrette visioni in prospettiva fuse tra loro e generate da tre punti di fuga posti al di fuori del disegno stesso, formanti i vertici di un ideale triangolo equilatero. Ciò offre la riprova di come: le percezioni sensoriali ricevute, in contrasto con le leggi fisiche della costruzione tridimensionale, non possano essere corrette dall’intelletto, dato che si basano su moduli cerebrali che agiscono in modo indipendente l’uno dall’altro, quindi, non relazionabili, nonché di come la geometria e le sue regole applicate al disegno ci permettano di rappresentare quello che vediamo in modo tale che il cervello lo ritenga simile alla realtà.
Alla fine degli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60 del Novecento grazie all’attività di Victor Vasarely (1906-1997) viene alla ribalta Optical Art (anche detta “Op art”), che tradotto letteralmente significa Arte ottica. La Op art è un movimento artistico dedicato allo studio e all’approfondimento di vari fenomeni ottici, e di come i nostri occhi possano percepire i vari colori e i toni, lo spazio che ci circonda o anche il movimento. Spesso i risultati di questi studi venivano trasmessi dagli artisti attraverso delle opere che erano realizzate sia con tecniche di pittura, sia con quelle della scultura. Alcune di queste opere sono molto famose e considerate di grande originalità per l’effetto che sono in grado di stimolare quando le osserviamo, riuscendo addirittura a “disturbare” e confondere il nostro senso della vista; per tale motivo la Op Art a volte viene anche definita l’arte che inganna l’occhio. E’ celebre la frase di Victor Vasarely per cui “L’Op Art esplora i limiti della visione umana: l’artista gioca con l’osservatore creando immagini geometriche che sembrano vibrare e pulsare” (Busto Andrea, Isnardi Cristiano. Victor Vasarely. Edizioni Cambi, Siena, 2007). Oggi alcune delle opere appartenenti a tale movimento sono considerate dagli esperti veri e propri capolavori.
Nella sua opera “Vega Pal” (Fig. 3)Victor Vasarely crea una forte illusione di tridimensionalità e un apparente movimento. Al centro del dipinto, infatti, la superficie sembra gonfiarsi e proiettarsi nello spazio, verso l’osservatore. Giochi di prospettiva e illuminazione ci fanno vedere un rigonfiamento sinuoso in questa stampa piuttosto che solo un disegno.
Il dipinto è astratto, non vi sono immagini figurative se non la serie di cerchi colorati che coprono ordinatamente la sua superficie. I colori utilizzati nel dipinto sono saturi e brillanti e tramite un’accurata distribuzione delle geometrie dei cerchi e dei colori stessi riescono a determinare l’effetto ottico del rigonfiamento al centro del quadro; in particolare, possiamo notare che: a) verso il centro, dove l’illusione di tridimensionalità è più forte, i toni sono intensi. Il raggio dei cerchi è più grande al centro per poi diminuire verso i lati; b) procedendo verso gli angoli del quadrato, invece, gli stessi colori diventano più chiari progressivamente per creare un effetto di arretramento; c) le parti angolari sono dipinte con un solo colore che si staglia contro uno sfondo di colore differente. Nei due settori superiori, a sinistra è riprodotta una griglia verde, a destra una griglia tendente al rosso; d) in basso, al contrario, i colori sono invertiti specularmente come anche la stesura del colore; sono, invece, le parti interne dei cerchi ad essere colorate; e) sulla superficie della sfera vengono riprodotti gli stessi colori presenti agli angoli, con tonalità più accese; gli spazi chiari vengono, poi, colorati in blu, nei settori di sinistra e in viola in quelli di destra.
Altro nome di questo movimento è quello della pittrice inglese Bridget Riley, la quale attraverso la composizione di linee, cerchi e altri motivi, infonde nei suoi dipinti un senso di oscillazione, illudendo lo spettatore di essere di fronte ad un’immagine in movimento piuttosto che a una fissa. La stessa artista ha affermato di creare campi di tensione visiva, giocando con le frequenze, il ritmo e gli effetti ottici che producono in chi guarda un senso di disorientamento (cfr. “Il mio lavoro si è sviluppato sulla base di analisi e sintesi, e ho sempre creduto che la percezione sia il mezzo attraverso il quale si sperimentano direttamente gli stati dell’essere “(Bridget Riley. Tate Publishing, Londra, 1997). Nel suo famoso quadro “Movement in Squares” (Fig. 4) si possono apprezzare dodici file di quadrati bianchi e neri alternati, la loro altezza rimane la stessa, ma la loro larghezza diminuisce lentamente; le strutture ripetitive e il forte contrasto sviluppano una sorta di illusione ottica, fornendo un senso di movimento.
Per quanto le opere Op art possano, a prima vista, sembrare dei virtuosismi ad effetto, in realtà esse si basano sui rigidissimi codici visivi e fondamenti scientifici relativi allo studio della percezione visiva. Tali opere, che si rifanno a regole percettive universali basate su sperimentazioni grafiche che attengono ai fenomeni della Gestalt, indagano sui rapporti causa effetto tra l’immagine e lo sguardo dell’osservatore, tra l’oggetto e il soggetto ricevente.
Viene spontaneo chiedersi se, in considerazione della diversità dei fenomeni illusori e la complessità dell’evoluzione dell’arte nel corso della storia, esistano principi generali da raccogliere in merito all’influenza o al ruolo delle illusioni nell’arte. Senza dubbio le illusioni ottiche sono state uno strumento utile per influenzare l’interpretazione dell’immagine da parte dello spettatore; ciò probabilmente sia come evento puramente casuale, correlato all’acutezza di osservazione dell’artista senza cercare consapevolmente di essere illusorio, sia come tentativo estetico e stimolo visivo dell’arte. L’uso consapevole della prospettiva (o il suo utilizzo cosciente da parte di alcune culture) esemplifica la prima categoria di illusione nell’arte. Il secondo include molti esempi relativi alle macchie di Mach che si ritiene siano stati riconosciuti dagli artisti senza essere averne potuto dare una consapevolezza ed un fondamento scientifico (È sempre una questione di prospettiva: le illusioni ottiche nel cervello). In ultimo, prendendo in considerazione l’Op art, le immagini sono progettate per essere visivamente stimolanti indipendentemente dal fatto che illustrino una scena, trasmettano una narrazione o suggeriscano qualche altra immagine.
La prima qualità dell’Arte è l’illusione (cit. G. Flaubert)
Occhiocapolavoro
Dott. Giuseppe Trabucchi – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica
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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154