Il collirio: perché si chiama così?

“Collirio” nella nostra lingua rappresenta una parola di uso comune che indica qualsiasi preparazione liquida ad uso topico oculare da instillare  sulla congiuntiva. Pensiamo infatti a quante persone durante la giornata mettono una goccia di collirio per alleviare una sensazione fastidiosa agli occhi (come, ad esempio, bruciore, secchezza) oppure per seguire una terapia farmacologica in caso di particolari malattie oculari (congiuntiviti, cheratiti o glaucoma).

L’utilizzo del collirio come medicamento dell’occhio è un atto molto antico. L’etimologia di questo termine affonda le sue radici in tempi molto lontani e consente di comprendere come la cura della malattia sia connaturata con la storia dell’umanità.

In particolare, i Greci introdussero la parola κολλούριον per descrivere una tipologia di medicamenti applicati localmente sulla pelle, sulle ferite e anche sugli occhi (Lavoisien JF. Dictionnaire Portatif de Médécine, d’Anatomie, de Chirurgie, de Pharmacie, de Chymie, d’Histoire Naturelle, de Botanique et de Physique. Paris, Ed Barrois, 1781). Gli autori sono abbastanza concordi nell’affermare che κολλούριον derivi da kòλλα, il cui significato è colla, e da oyrα’, che significa coda. In effetti la combinazione di questi termini descrive la composizione e la forma di questo medicamento: si trattava, infatti, di una sorta d’impasto appiccicoso contenente erbe, minerali ed estratti animali, poi modellato a forma di bastoncino (Fig. 1), forma che richiamava, infatti, la coda di un piccolo animale; ciò probabilmente per favorirne la conservazione e per una più semplice applicazione sulle ferite o nelle cavità anatomiche del corpo umano come l’orecchio ed anche sugli occhi (Lyons AS, Petrucelli RJ (edited by W Rawls). Medicine: an illustrated history. New York, Harry N Abrams, 1978). Il κολλούριον poteva avere anche la forma di vere proprie compresse tondeggianti da applicare direttamente sull’occhio (Fig. 2).

Fig. 1. Medicazione oculare scoperte in una tomba Lyon, Francia, II secolo a.c. (foto Todd Bolen).
Fig. 2. Una pisside, contenente le compresse medicamentose (MiBAC).

È interessante notare come la parola κολλούριον compaia nel Libro dell’Apocalisse. Nella lettera alla Chiesa di Laodicea, nota a Dio per la sua tiepidezza spirituale e per il suo orgoglio, il Signore rivela la cecità spirituale di questi credenti e consiglia loro di acquistare da Lui “del collirio per ungerti gli occhi e vedere” (cfr. καὶ κολλούριον ἐγχρῖσαι τοὺς ὀφθαλμούς σου ἵνα βλέπῃς., Apocalisse 3,18). Questi occhi, naturalmente, non sono quelli fisici e il collirio non è quell’unguento di Frigia prodotto proprio a Laodicea, peraltro molto in voga nei mercati di quel tempo. Gli occhi di cui parla il Signore sono quelli spirituali, i Laodicei pensavano di non aver bisogno di nulla mentre invece erano ciechi nello spirito e ignari della loro vera condizione davanti a Dio. Solo il “collirio del Signore”, cioè lo Spirito della Verità avrebbe potuto aprire e curare i loro occhi spirituali malati. Traspare tuttavia da questo scritto come la cura degli occhi (Fig. 3) avesse un’importanza particolare e come il rimedio fosse l’applicazione di sostanze medicamento sulla superficie oculare (Giuseppe Trabucchi. L’occhio nell’Antico e nel Nuovo Testamento. MediaAbout, Milano, 2020).

Fig. 3. Un uomo sta visitando o curando un paziente. Formella alla base di un sarcofago, Basilica di San Vitale, Ravenna.

Furono poi i Romani a derivare dalla parola κολλούριον, il termine collyrium. Ciò si evince dal De Medicina, testo scritto da Aurelio Cornelio Celso (25 a.c.–50 d.c). Il famoso medico latino scrive: “Curari vero oculos sanguinis detractione, medicamento, balneo, vino, vetustisssimus auctor Hippocrates memoriae prodidit.” citando il grande medico greco Ippocrate che indicava il bagno oculare e il vino come forma di medicamento di alcune malattie oculari. Nel sesto libro, a proposito della cura delle malattie oculari, riporta: “Multa autem multorumque auctorum collyria ad id apta sunt, novitiam etiam nunc mixturis temperari possunt, cum lenia medicamenta et modice reprimentia facile et varie misceantur. Ego nobilissima exequar”, indicando come molti medici fossero in grado di preparare diversi colliri con nuove miscele adatti alle malattie degli occhi. Sono citati infatti diverse tipologie di colliri con il nome del suo ideatore: Collirio di Filone, Collirio di Dionisio, Collirio di Cleone, Collirio di Plinio (Fig. 4).

Fig. 4. Della Medicina di Aurelio Cornelio Celso, G. A. Del Chiappa, Venezia 1838.

Con il fiorire della cultura araba e la decadenza dell’Impero Romano viene introdotto il termine sief, o le sue varianti xief, axief, gyeg e cief, tutti derivati dall’arabo antico siyaf per descrivere il medicamento pastoso simile a quello conosciuto nel mondo greco e romano.

A poco a poco, a partire dal 1500-1600 fino all’età moderna, il significato di collirio e i suoi derivati ​​iniziarono a riferirsi ad una sostanza di natura liquida, contenuta in piccole ampolle di vetro (Fig. 5), da instillare negli occhi o per veri e propri bagni oculari.

Fig. 5. Bottiglietta di cobalto per lavaggio oculare.

Il dizionario delle autorità in Spagna (1726) definì il collirio come un liquido medicina per gli occhi. Terreros (1707–1782), da Biscaglia, definì il collirio come una medicina da instillare negli occhi. Capdevila (1790-1846), della Catalogna, disse che il collirio è una polvere, una miscela o un infuso da applicare sugli occhi (Capdevila Massana R. Elementos de Terapéutica y Materia Médica. Madrid, Impr Gómez Fuentenebro, 1830).

Andrés de Laguna (1494–1560), da Segovia, ha scritto nelle sue note alla traduzione di Dioscoride che il collirio a base di stibium (antimonio) era chiamato “l’ingranditore degli occhi” o “abbellitore di donne” e che aveva anche la capacità di purificare gli occhi da sostanze impure o da ulcere” (Laguna A de. Traducción griego-castellano con anotaciones del “De materia medicinalis” de Dioscórides. 1555; and Annotationes in Dioscoridem Anazerbeum. Lyon and Venezia,1554, and Amberes 1555). Georg Bartisch (1535–1606); George Bartisch (1535-1606) da Königsbrück (Fig. 6) fu tra i primi ad utilizzare gocce sulla superficie oculare per scopi terapeutici (Bartisch G. Ophthalmodouleia/Das ist Augendienst (Ophthalmodouleia, ie, service to the eye. Dresden, 1583).

Fig. 6. Una spugna imbevuta di collirio viene punta da un ago e le gocce cadono dall'ago nella superficie oculare. Bartisch G. Ophthalmodouleia/Das ist Augendienst (Ophthalmodouleia, ie, service to the eye). Dresden, 1583.

La progressiva restrizione del termine collirio ai medicinali liquidi da instillare gli occhi iniziò circa un millennio fa, ma è stata definitivamente accettata solo nei secoli più recenti (Stoeber V. Manuel pratique d’ophtalmologie. Paris and Strasbourg, Impr Levrault, 1834). Con il passare del tempo il termine si è evoluto in “collirio” in italiano, “collyre” in francese, “colírio” in portoghese, “colirio” in spagnolo. Molte altre lingue, compreso l’inglese, hanno mantenuto il nome latino collyrium. Nel tedesco moderno, collyrium può essere tradotto come Augentropfen (collirio acquoso) o Augensalbe (unguento).

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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