È sempre una questione di prospettiva: le illusioni del cervello
Oltre alle illusioni visive che abbiamo descritto nel precedente articolo (Quando l’occhio fa strani scherzi: le illusioni visive), esistono illusioni ottiche che dipendono principalmente dalle informazioni contenute nella memoria del nostro cervello e, in particolare, dalla latenza temporale tra il momento in cui il nostro occhio percepisce l’immagine e il momento in cui il cervello la analizza e la elabora.
Questo intervallo di tempo dura circa un decimo di secondo. Pertanto, il cervello, che non è in grado di elaborare all’istante gli stimoli visivi, si attiva per riempire il “periodo di vuoto” interpretando la realtà che lo circonda attraverso l’immenso database d‘immagini o informazioni già immagazzinate. Proprio per effetto di tale meccanismo di analisi cerebrale alcune immagini possono generare una diversa interpretazione da parte del nostro sistema visivo. In altre parole, milioni di immagini, movimenti e azioni già compiute e messe a memoria, sono in grado d’influenzarci quando ci troviamo di fronte a realtà cosiddette illusorie o comunque per noi inusuali.
Entriamo più nel dettaglio.
Il sistema visivo dell’uomo è in grado di valutare la profondità di un campo aperto o capire se un albero o un animale siano più o meno vicini rispetto ad un altro (Fig. 1). Ciascuno dei nostri occhi vede il mondo da un angolo leggermente diverso e il cervello è in grado di analizzare questa differenza e calcolarne la distanza. Come ben comprenderete, questa capacità ha aiutato l’essere umano fin dalle origini a vivere in spazi aperti e sopravvivere in ambienti ostili. Tuttavia, la percezione della prospettiva può essere fortemente influenzata dal contesto in cui noi uomini siamo abituati a vivere. (J. B. Deregowski. Real space and represented space: Cross-cultural perspectives. Cambridge University Press, 2010).
A partire dalla fine del Duecento, e soprattutto con l’opera pittorica di Giotto, la concezione illusionistica della realtà e la corposità delle figure diventa un tema di interesse primario e, al contempo, un obiettivo da raggiungere nelle rappresentazioni (Fig. 2a-2b). In tale contesto, si è venuta inevitabilmente a sviluppare la ricerca di espedienti e di procedimenti atti a ottenere delle figurazioni in qualche modo corrispondenti al tipo di percezione visiva dell’essere umano. Lo studio della prospettiva diventa basilare negli insegnamenti (vedi le arti del quadrivio dove lo studio della geometria era considerato fondamentale) e ciò è ancora vero nei giorni nostri; basti pensare alle cartelle degli scolari dalle quali fuoriescono spesso le squadre e i lunghi righelli. Insomma, il trionfo della prospettiva ha portato necessariamente l’uomo a “scontrarsi” e confrontarsi con le illusioni prospettiche; ciò ha agevolato nel corso della storia la creazione di meravigliosi “esemplari” architettonici – veri e propri documenti della potenza del cervello umano che, ancora oggi, sono in grado di stupirci – e, al contempo, sviluppato in pittura la percezione della profondità e tridimensionalità.
Possiamo dire che il cervello tenta di dirci quanto è grande un oggetto soprattutto in base al confronto con altri oggetti vicini. Ciò è in qualche modo paragonabile al fatto che, mentre leggiamo una parola, alla terza o quarta lettera conosciamo già il significato dell’intera parola perché il cervello attinge dall’enorme numero di parole e significati che già conosce (Riccardo Falcinelli. Guardare, Pensare, Progettare. Stampa alternativa & Graffiti, 2011).
Senza dubbio alcuni esempi ci permettono di comprendere meglio l’argomento.
Prendiamo ad esempio la Città ideale dell’architetto Leon Battista Alberti (Fig. 3), dove sono rappresentate complesse prospettive architettoniche caratterizzate da rigorosi tracciati lineari che descrivono minuziosamente ogni particolare architettonico. La perfezione delle forme e dei volumi estremamente precisa dimostra l’evoluzione della percezione degli spazi che il sistema visivo ha sviluppato.
Un esempio molto calzante delle illusioni legate alla memoria prospettica è l’illusione dello psicologo italiano Mario Ponzo (Fig. 4).
Ponzo ha dimostrato per primo come sia lo sfondo di un oggetto a determinare la percezione ottica della sua dimensione (Renier et al., The Ponzo illusion using auditory substitution of vision in sighted and early blind subjects, Perception, 34, 857–867, 2005). Osservando la figura 4, la geometria dell’immagine (o parte di essa) viene percepita in un certo senso “erroneamente” poiché le traversine dei binari appaiono sempre più piccole e più lontane nonostante siano (evidentemente) della stessa lunghezza. In realtà, la visione errata rappresenta proprio l’illusione o, comunque, la sua conseguenza.
Come abbiamo detto poco fa, quotidianamente l’occhio viene “influenzato” dalla prospettiva con la conseguenza che la dimensione dell’immagine retinica di un oggetto diminuisce man mano che la sua distanza aumenta. Infatti, ritornando alla figura 4, il disegno su foglio dei binari non fa che riprodurre la nostra esperienza visiva: le righe azzurre poste nel disegno come se fossero a distanze diverse ci inducono a pensare che siano una più lunga dell’altra.
Si tratta di un mero gioco di prospettive…
Questa capacità di “giocare” con la prospettiva ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione culturale delle civiltà antiche come quella greca e romana. Le illusioni prospettiche venivano utilizzate sia per rendere più sensazionale l’aspetto di alcune opere architettoniche, sia per focalizzare l’attenzione su altri significati, come il simbolismo religioso, la documentazione di eventi o la trasmissione di una sensazione emotiva. La progettazione degli edifici, spesso strumenti di espressione dei poteri politici e religiosi dei committenti, richiedeva un uso attento e ben definito di regole ottico – geometriche, ancor prima di quelle costruttive.
Un altro bell’esempio è quello riportato nell’affresco del 40-30 a.C. di Villa di Publio Fannio Sinistore a Boscoreale (Fig. 5) dove sono simulate le colonne ioniche in primo piano. In secondo piano è evidente un tempietto rotondo con colonne corinzie, ai lati vi sono due colonnati dorici.
Nel corso dei secoli accresce l’interesse per l’aspetto ottico dello spazio tanto che nel Rinascimento si giunse alla codificazione della prospettiva, che portò alla costruzione di spazi controllati e scenografici il cui scopo era la creazione di effetti sorprendenti (Bernard Berenson, Piero della Francesca o dell’arte non eloquente. Abscondita, Collana: Miniature, 2014). Assolutamente importante in questo senso è il dipinto de “La Flagellazione di Cristo” di Piero della Francesca (Fig. 6a), dove all’interno di un’architettura rigorosamente prospettica un soldato flagella Cristo al cospetto di Pilato; a destra invece si trovano tre uomini che stanno conversando. Con tale opera Pietro della Francesca ha contribuito a rinnovare la pittura italiana tramite l’applicazione dei suoi studi matematici; l’artista, infatti, per costruire gli spazi architettonici ha messo in pratica tutto il suo “sapere” accumulato con i suoi studi sulla prospettiva. In particolare, possiamo notare che:
- nel dipinto prevalgono le architetture ordinate e razionali;
- le linee di fuga convergono verso un punto prossimo al pavimento creando nell’osservatore la sensazione di osservare la scena dal basso. In questo modo i personaggi paiono disposti al di sopra di un palcoscenico e assumono una valenza monumentale. La prospettiva di grandezza rende chiara la distanza dal primo piano allo sfondo;
- Il pavimento è decorato con grandi rettangoli geometrici, che funzionano da griglia prospettica per aiutare l’osservatore a percepire la profondità dello spazio rappresentato Fig.6b.
Questa tendenza del cervello a stimare una dimensione basandosi su effetti prospettici o sul confronto con oggetti vicini è ben evidente nel celebre colonnato di Palazzo Spada a Roma (Fig. 7) disegnato dall’architetto Borromini nel 1632. Una sorta d’illusione di Ponzo al contrario: la lunghezza del colonnato appare molto corta rispetto a quella reale.
Un altro geniale utilizzo della prospettiva lo ritroviamo nel centro storico di Milano precisamente in Via Torino ove in un vicolo corto, cieco e stretto tra due palazzi, si trova una chiesa parrocchiale edificata alla fine del Quattrocento: si tratta della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, che ingloba il sacello di San Satiro di epoca medievale e costituisce una delle attrazioni milanesi tutta da scoprire (Fig. 8). Bisogna varcare la soglia per poter ammirare, dietro l’altare, il grande spazio formato da un’abside regolare e ben completato da colonne e decorazioni: procedendo infatti verso l’altare, quasi a toccare con mano, ci si accorge che non si può passare poiché c’è poco meno di un metro di spazio.
Si tratta in realtà di un’illusione ottica: una prospettiva illusoria perché l’abside non esiste. Questo inganno prospettico è opera di Donato Bramante, uno dei più grandi architetti italiani, il quale ha fatto fronte allo spazio ridotto della chiesa per creare la finta abside che misura 97 centimetri invece di 9 metri e 70 previsti in quello che era il progetto originale. Quello che nacque come un impedimento alla diocesi che non aveva i permessi per costruire una chiesa di più ampie dimensioni si è evoluto poi in un risultato inaspettato, vero e proprio capolavoro artistico. Il Bramante, sfidando le limitazioni, ha infatti creato l’illusione perfetta e la finta fuga prospettica di San Satiro è considerata l’antesignana di tutti gli esempi di “trompe l’oeil” che vennero successivamente: nella sua perfezione l’opera evidenzia anche l’influenza delle ricerche di Piero della Francesca e Donatello nel campo della rappresentazione illusionistica. Se si pensa che in origine tutto l’edificio era decorato in bianco, azzurro ed oro, ci si rende conto che l’impressione ottica, all’epoca, era davvero ricchissima (La prospettiva bramantesca di Santa Maria presso San Satiro, Storia, restauri e intervento conservativo, a cura di Rosa Auletta Marucci, Banca Agricola Milanese 1987).
Lo stesso accade a Roma entrando nella Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola (Fig. 9). Questa, inserita all’interno del Collegio romano dei Gesuiti, è stata costruita in epoca barocca, quando ci si accorse che la Chiesa dell’Annunziata non era più sufficiente per accogliere tutti i fedeli. I lavori per la costruzione della nuova Chiesa iniziarono nel 1626 e furono conclusi nel 1685, ad eccezione della cupola per la quale mancavano le risorse economiche necessarie per la sua realizzazione. Oggi, appena varcata la soglia della chiesa, occorre seguire le particolari geometrie dei marmi sul pavimento e portarsi su un circoletto dorato per ammirare una bella cupola di 13 metri di diametro. Chiunque abbia avuto la possibilità di visitarla avrà notato qualcosa di strano: se ci si sposta da quel punto, infatti, la cupola assume tutta un’altra prospettiva e perde completamente di significato. Il soffitto è piatto! La cupola è finta ed è merito del frate gesuita e pittore Andrea del Pozzo, che vi ha applicato un dipinto prospettico su tela, creando una delle più efficaci illusioni ottiche tridimensionali (Francis Haskell, Mecenati e pittore, studio sui rapporti tra arte e società italiana nell’età barocca, Sansoni, 1985).
Conclusioni
Come abbiamo visto la percezione delle immagini illusorie è frutto dell’elaborazione del nostro sistema visivo che ha bisogno di inquadrare l’immagine non singolarmente ma all’interno del contesto in cui si trova.
Ernst Mach, noto fisico austriaco e uno dei pionieri dell’esplorazione sperimentale della percezione umana, ha sottolineato più di cento anni fa che “l’espressione ‘illusione sensoriale’ mostra che non abbiamo ancora preso coscienza del fatto che i sensi possono percepire gli eventi esterni in modo falso o corretto. L’unica cosa esatta che si può affermare è che gli organi di senso sottoposti a differenti stimoli fisici riescono a produrre sensazioni e percezioni diverse”.
Le illusioni sono solo un aspetto dei meccanismi biologici della visione e della sua elaborazione psicologica e come tali devono essere considerati uno stupendo strumento tra i tanti che contribuiscono alla vita dell’uomo nel suo ambiente.
Occhiocapolavoro
Dott. Giuseppe Trabucchi – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica
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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154