L’arcobaleno: un’illusione ottica naturale
Quando la luce del sole incontra le nuvole e le particelle d’acqua rimaste in sospensione dopo un temporale, oppure l’acqua nebulizzata in prossimità di una cascata o le goccioline che formano la nebbia, si genera un fenomeno fisico – atmosferico molto scenografico: l’arcobaleno. La particolarità degli effetti visivi derivanti da tale evento naturale suscita da sempre molto interesse e curiosità da parte di molti studiosi di diversi settori (come fisici, matematici, filosofi, etc.) ma anche di illustri poeti.
Storia dell’Arcobaleno
Lo stupore che genera la vista dell’arcobaleno ha fatto sì che tale fenomeno sia fin dall’antichità al centro di accurate analisi, oltre che di leggende popolari.
Anche se non abbiamo traccia dell’anno preciso in cui l’arcobaleno è stato notato per la prima volta, possiamo rinvenire qualche riferimento già nella Bibbia nel libro della Genesi: Dio dopo aver generato il diluvio per lavare via la corruzione dell’umanità, pone l’arcobaleno nel cielo come segno della sua alleanza con l’uomo (Fig. 2). La prima prova fisica del riconoscimento dei cosiddetti “archi” la ritroviamo invece sulle tavolette cuneiformi sumeriche e babilonesi (Carl Benjamin Boyer, “Robert Grosseteste on the Rainbow”, Osiris 11: pp. 247-258, 1954).
In epoca greco l’arcobaleno, e in particolare le sue caratteristiche e cause, è stato oggetto di diverse indagini da parte di molti filosofi. Una prima descrizione più dettagliata del fenomeno ottico in parola si deve, infatti, ad Aristotele (384 o 383-322 a.C.), il quale ha sostenuto che l’arcobaleno è un fenomeno atmosferico generato per effetto della riflessione della luce del sole sulle nuvole, purché il sole non sia troppo alto sull’orizzonte, ed è composto da tre colori (primari): rosso, verde e blu (Raymond L. Lee, Alistair B. Fraser, The rainbow bridge: rainbows in art, myth, and science, Penn State Press, 2001). Con particolare riferimento all’Europa, l’interpretazione aristotelica fu accettata per molto tempo in modo quasi passivo dagli studiosi, i quali “si sono limitati” a discutere in merito al numero dei colori: tre come le persone della Trinità o quattro come gli elementi empedoclei (aria, acqua, terra e fuoco).
Più tardi, il filosofo e politico romano Seneca (ca. 4 a.C.-65 d.C.) ha dedicato alcuni capitoli del libro I delle Naturales Quaestiones alla spiegazione fisica del fenomeno, sostenendo che l’arcobaleno, che appare sempre di fronte al sole, è prodotto dal riflesso dei raggi solari sulle goccioline d’acqua o in una nuvola a forma di specchio concavo. In particolare, facendo cenno all’esistenza di oggetti di vetro attraverso i quali la luce del sole viene scomposta nei colori dell’iride, concentra la propria attenzione sul concetto di dispersione della luce, cioè al fatto che l’angolo di diffrazione dipende dal colore, così anticipando la scoperta dell’effetto prisma che Newton farà poi molti secoli dopo.
Facendo un salto in avanti nel tempo, si può notare come vari studiosi, tra cui Roger Bacon (1214-1294), Teodorico di Freiberg (Meister Dietrich, Theodoricus Teutonicus de Vriberg, ca. 1250-ca. 1310) e René Descartes (1596-1650), abbiano affrontato lo studio del meraviglioso fenomeno visivo alternando scienza e alchimia, ragione e sentimento: secondo tali studiosi, infatti, i colori dell’arcobaleno arrivano (agli occhi) per effetto di fenomeni fisici e sensoriali, interpretativi ed esperienziali. In tale contesto, il filosofo Roger Bacon ha misurato, forse per primo, l’apertura angolare dell’arcobaleno, mentre il monaco tedesco Teodorico di Freiberg ha proposto una nuova lettura del fenomeno individuando la causa nelle singole gocce d’acqua, che investite dalla luce, generano ciascuna un cono di luce iridescente.
Degna di nota è senza dubbio la descrizione classica e poetica ma, al contempo, accurata ed allusivamente scientifica svolta da Dante (1265–1321) nella Divina Commedia (Fig. 4). In particolare, nelle parole del Sommo Poeta si possono cogliere numerose riflessioni scientifiche e considerazioni filosofiche in riferimento al fenomeno in esame, laddove si legge che:
- “come quando da l’acqua o da lo specchio salta lo raggio a l’opposita parte, salendo sù per lo modo parecchio a quel che scende e tanto si diparte dal cader de la pietra in igual tratta, sì come mostra esperïenza e arte; così mi parve da luce rifratta quivi dinanzi a me esser percosso; per che a fuggir la mia vista fu ratta (così in Purg. XV, 16-24).
- “…e come l’aere, quand’è ben piorno, per l’altrui raggio che in sè riflette, di diversi color diventa adorno” (così in Purg. XXV, 91-93).
- “..rimanea distinto di sette liste, tutte in quei colori onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto” (così in Purg. XXIX, 76-78).
Da notare, oltre alla “teoria” dei sette colori dell’arcobaleno (che avvicina Dante alla futura posizione di Newton), il riferimento – assai minuzioso e dettagliato – alla legge della riflessione, secondo cui l’angolo tra il raggio incidente e la normale (il cader della pietra) è uguale a quello tra la normale e il raggio riflesso. Nella Divina Commedia si possono rinvenire vari cenni al fenomeno ottico della riflessione.
Nonostante l’evoluzione interpretativa dantesca del fenomeno, le teorie formatesi sull’arcobaleno sono state ancora per molto tempo “condizionate” da un approccio in un certo senso mistico al fenomeno. D’altronde, fino all’intervento di Newton, l’opinione più condivisa ha considerato i colori come un misto di luce e di ombra, ritenendo che i prismi, in qualche modo, colorassero la luce e che il sole, in quanto incarnazione del divino, fosse di colore bianco.
Passando ai tempi più moderni, possiamo notare come l’arcobaleno venga inteso come un fenomeno strettamente fisico e, come tale, è diventato argomento di studio rigoroso secondo le leggi matematico-fisiche della riflessione e della rifrazione.
Gregor Reisch, (ca. 1467-1523) nel suo libro Margarita philosophica, afferma che l’arcobaleno principale appare quando la luce si riflette su una superficie concava e il suo aspetto dipende dalla moltitudine delle gocce (Thomas Young, Bakerian Lecture: Experiments and Calculations Relative to Physical Optics, Philosophical Transactions of the Royal Society, 94, 1-16, 1804).
Newton, che inizia ad interessarsi ai fenomeni luminosi già dal 1660, è stato invece il primo ad intuire che la luce che noi vediamo bianca in realtà è formata da raggi colorati dotati di angoli di rifrazione differente: servendosi di un prisma triangolare, la luce bianca del sole viene scomposta nei colori dello spettro. Con Newton l’arcobaleno viene ad essere descritto come il risultato di un prisma naturale in grande misura: le gocce d’acqua sospese in aria possono comportarsi in modo simile ad un prisma, separando i colori della luce per produrre lo spettro, vale a dire l’arcobaleno. La luce viene piegata rifratta nel passaggio da un materiale ad un altro, come ad esempio tra l’aria e l’acqua. Si deve sempre a Newton l’identificazione nello spettro di sette colori (come le note). In realtà, tale divisione è fittizia poiché all’interno dello spettro i colori cambiano in modo continuo e non netto (Isaac Newton, Opticks or, a Treatise of the Reflexions, Refractions, Inflexions and Colours of Light: also Two Treatises of the Species and Magnitude of Curvilinear Figures, London: Sam. Smith & Benj, Walford, 1704).
Dopo Newton, le descrizioni fisiche moderne dell’arcobaleno hanno trovato fondamento nel c.d. “fenomeno di Scattering Mie, soluzione – integrale e matematicamente rigorosa – del problema della diffusione ottica (o dispersione) di un’onda elettromagnetica su di una sfera o su di un cilindro basata sulle equazioni delle onde elettromagnetiche formulate dal matematico e fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879), a cui si deve una formulazione matematica precisa del fenomeno ottico dell’arcobaleno, e discendente dagli studi pubblicati dal fisico tedesco Gustav Mie (1869-1957) e da Peter J.W. Debye (1884-1966) nel 1908.
I continui progressi avvenuti nel XX secolo nel calcolo computazionale e nella teoria portano lentamente ad una comprensione sempre più esaustiva del fenomeno dell’arcobaleno che tiene conto delle proprietà ondulatorie relative all’interferenza, la diffrazione e la polarizzazione, nonché delle proprietà corpuscolari che devono essere correlate alla quantità di moto trasportata da un raggio luminoso, per il quale una interessante interpretazione contemporanea si deve al fisico brasiliano Herch Moysés Nussenzveig (1933) e, in termini computazionali, a Vijay Khare, nel 1975. (Massimo Corradi. Breve Storia dell’Arcobaleno. Lettera Matematica (marzo 2016) 96:17, EGEA 2016).
Come si forma l’arcobaleno?
Un arcobaleno risulta visibile solo in situazioni particolari.
L’“arco di colori” si manifesta, infatti, all’osservatore solo se questo si trova nella zona tra le gocce d’acqua sospese (pioggia, vapore acqueo, etc.) e la posizione del sole nel cielo. Il sole, come vedremo, dev’essere sufficientemente basso all’orizzonte. L’arcobaleno appare sempre dalla parte opposta ai raggi solari per cui l’osservatore ha sempre alle spalle il sole (Fig. 5).
Arcobaleni si possono osservare anche in vicinanza delle cascate o si possono generare con relativa facilità in giardino con uno spruzzo d’acqua disposto in posizione opposta al sole. In tutte queste situazioni vengono coinvolte gocce d’acqua colpite dai raggi solari ed è pertanto su queste che ci si deve concentrare per spiegare e comprendere il fenomeno. Responsabili dei colori dell’arcobaleno sono quindi le goccioline che possono essere descritte come sferette di acqua che si comportano nei confronti della luce del sole come piccoli prismi e specchi curvi. Quando un raggio di luce bianca (come quella emessa dal sole) colpisce un prisma, per esempio di vetro, per effetto della rifrazione e della dispersione cromatica, viene deviato e scomposto nelle sue componenti, cioè vengono separati i diversi colori, rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e violetto, secondo la descrizione di Newton (Fig. 6).
I colori dell’arcobaleno sono milioni, ma l’occhio è in grado di vedere solo quelli che sono nelle radiazioni dello spettro elettromagnetico visibile. I nostri occhi, infatti, sono sensibili a lunghezze d’onda comprese tra 400 e 700 nanometri (Fig. 7).
Nelle goccioline di pioggia che danno origine al primo arcobaleno, o “arcobaleno primario”, sono importanti una prima rifrazione e dispersione (“effetto prisma”) del raggio di luce bianca quando entra nella goccia, una riflessione sulla parete opposta della goccia (che funziona come uno specchio concavo) e una seconda rifrazione e dispersione (ancora effetto prisma) all’uscita dalla goccia: la luce così dispersa nelle sue componenti ritorna all’osservatore che percepisce il rosso più in alto (sotto un angolo di circa 42°) e il viola più in basso (sotto un angolo di circa 40°). Il secondo arcobaleno, o “arcobaleno secondario”, si forma se il raggio di luce bianca subisce una riflessione in più all’interno della goccia, con una conseguente inversione della sequenza dei colori e una diminuzione di intensità.
L’arcobaleno più intenso (primo arcobaleno) viene percepito come un arco di circonferenza con una successione di colori che va dal viola (più in basso) al rosso (più in alto). In rari casi si osserva anche un secondo arcobaleno: più esterno rispetto al primo e meno intenso, in cui la successione dei colori è invertita, cioè rosso in basso e viola in alto (Fig. 8).
Sapete perché la forma dell’arcobaleno è un arco di circonferenza?
Danno luogo al primo arcobaleno tutti quei raggi che, deviati dalle goccioline di pioggia, raggiungono l’osservatore, formando un angolo fisso (di 42° per il rosso e di 40° per il viola) con la direzione del raggio di luce bianca proveniente dal sole (Fig. 8).
In sostanza, affinché il fenomeno in parola si mostri ai nostri sguardi occorrono tre elementi: il sole, la pioggia e un paio di occhi. In particolare, la luce visibile è formata da onde elettromagnetiche di diverse frequenze (i colori) che vengono deviate e riflesse in maniera diversa quando passano attraverso le gocce di pioggia sospese nell’aria; poi la geometria fa il resto (Ivan R. Schwab, Barry Lee and David Bisno. The Rainbow: From Ancient Greece to Modern Optics. Surv Ophthalmol 54:714–720, 2009).
Concludo con una splendida citazione di Charlie Chaplin, che racchiude in sé l’aspetto più mistico e “romantico” del fenomeno che abbiamo analizzato: Alza gli occhi al cielo, non troverai mai arcobaleni se guardi in basso.
L’arcobaleno è un’illusione ottica naturale che non sempre riusciamo ad ammirare. Quando abbiamo la fortuna di vederlo non possiamo non rimanere colpiti dalla meraviglia del nostro universo che è sempre in grado di stupirci, regalandoci eventi spettacolari.
Occhiocapolavoro
Dott. Giuseppe Trabucchi – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica
P.IVA 02128970031 – C.F. TRBGPP59D30E463K
Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154