Mangiare con i nostri occhi: dalla fame visiva alla sazietà digitale

Luigi Monteverde, Natura morta con dolci, Dobiaschofsky Auktionen, Berna.

Si dice che il famoso detto “mangiamo prima con i nostri occhi” sia di Marco Gavio Apicio, celebre gastronomo, cuoco e scrittore romano vissuto tra il I e il II secolo a.C. (J. Dommers Vehling, Cookery and Dining in Imperial Rome, by Apicius New York Edition. 1958). Oggi un crescente numero di studi nel campo delle neuroscienze sta confermando l’esattezza di questo aforisma. Mangiare, come respirare, è necessario per la sopravvivenza dell’essere umano, che appena nato, dopo i primi vagiti che aiutano ad espandere i polmoni, si attacca avidamente al seno della madre. La ricerca del cibo per sè e per la propria famiglia rimane una delle funzioni primarie dell’uomo regolata dalla “centrale di comando”: il cervello.

Nell’uomo, questa attività si basa principalmente sulla vista, soprattutto quando si tratta di trovare quegli alimenti che già conosce, tutto ciò mediato dai sistemi di attenzione, piacere e ricompensa, nonché dai complessi cicli fisiologici della fame (J. Delwiche, You eat with your eyes first. Physiology and Behavior, 107, 502-504, 2012). Gli stimoli visivi hanno dimostrato di alterare la percezione del gusto, dell’olfatto e del sapore. Un’alterata percezione visiva può compromettere il gusto e l’olfatto e quindi i sapori. Il colore è il segnale visivo più immediato, ma anche la forma e la lucentezza sembrano giocare un ruolo importante. Pensiamo ad esempio come le caramelle rotonde e colorate (Fig. 1) possono attrarre un bambino e come i colori inusuali quali il blu o il nero possono indurre al rifiuto (C. Spence, K. Okajima, A. D. Cheok, O. Petit, C. Michel. Eating with our eyes: From visual hunger to digital satiation. Brain and Cognition, 110, 53-63, 2016).

Fig. 1. Ma quante caramelle colorate... Che voglia di metterne in bocca una. Ma quale scegliamo?

La relazione tra lo sviluppo del cervello e del sistema visivo e la necessità di procurarsi cibo per vivere

Gli ambienti dove l’essere umano si è evoluto attraverso i secoli erano molto meno ricchi, in termini di disponibilità di risorse alimentari, rispetto a quelli in cui noi oggi viviamo nel mondo occidentale. Tutto lo sforzo giornaliero dei nostri antenati era concentrato nel procacciarsi il cibo per sopravvivere. Le carestie hanno caratterizzato gran parte dei secoli passati. Possiamo anche dire che l’impossibilità di avere una dieta alimentare soddisfacente abbia contraddistinto la vita degli uomini e delle donne fino a quasi la metà del 1900.  Anche le religioni in un modo o nell’altro hanno imposto divieti alimentari. I casi più noti a noi sono la proibizione della carne di maiale per i musulmani, o le complesse norme alimentari ebraiche della kashrut. Nel cristianesimo non esistono divieti relativi a singoli alimenti, bensì sono stati introdotti nel tempo una serie di precetti di astinenza per tenere a freno quello che veniva considerato dai cattolici il peccato di gola.

E’ evidente quindi come il cervello umano si sia evoluto durante un periodo in cui il cibo era molto più scarso di quanto non lo sia ora e questo possa aver fatto sì che il nostro corredo genetico ci spinga verso il consumo ogni volta che il cibo è facilmente accessibile. (T. M. Marteau, G.J. Hollands, P.C. Fletcher. Changing Human Behavior to Prevent Disease: The Importance of Targeting Automatic Processes. Science, 6101, 1492-1495, 2012).

In effetti, alcuni suggeriscono che il cervello potrebbe essersi evoluto negli animali come strumento dell’intestino per controllare il suo apporto alimentare e, così facendo, aumentando le possibilità di sopravvivenza e riproduzione. In altre parole, determinando quali alimenti nutrienti accettare (cioè ingerire) e quali alimenti potenzialmente dannosi evitare o rifiutare (W.J. Gehring. The evolution of vision. Wiley Interdisciplinary Reviews: Developement Biology, 3:1-40, 2014). Possiamo quindi sostenere che la “fame visiva” sia un concetto che qui definiamo come naturale. Un desiderio, o un comportamento, frutto di anni di sacrifici e sofferenza. Il guardare il cibo e provare piacere potrebbe benissimo essere la conseguenza di un adattamento evolutivo: il nostro cervello ha imparato a divertirsi nel vedere il cibo, poiché probabilmente questo precede il saziarsi. Il dipinto “Bottega del macellaio” di Joachim Beuckelaer (Fig. 2) fornisce un esempio mirabile di quanto vi ho accennato. Un banco di carne nel 1600. L’accento è posto sui prodotti a base di carne esposti sul banco, permettendo all’osservatore di apprezzare la cura dei dettagli con cui l’artista ha ritratto la scena. Provate ad immaginare quale stimolo questa immagine potesse suscitare in chi, a quel tempo di povertà, avesse osservato quel banco.

Fig. 2. Bottega del macellaio. Joachim Beuckelaer, Museo di Capodimonte, Napoli.

Nei tempi antichi la ricompensa automatica associata alla vista del cibo probabilmente significava un altro giorno di alimenti sufficienti per la sopravvivenza e, allo stesso tempo, le risposte fisiologiche avrebbero preparato il nostro corpo a ricevere quel cibo. Dopo tanti secoli il cervello dell’uomo si comporta nella stessa maniera. Il nostro suggerimento qui è che l’esposizione regolare a cibi virtuali al giorno d’oggi, e la serie di risposte neurali, fisiologiche e comportamentali ad essa collegate, potrebbero esacerbare troppo spesso la nostra fame fisiologica.

Gli adattamenti fisiologici e neurofisiologici osservati in risposta alle immagini del cibo

La PET (Tomografia ad Emissione di Positroni) è una tecnica diagnostica di Medicina Nucleare che consente di monitorare il metabolismo nelle diverse aree del cervello. Con questa metodica possiamo osservare che l’attività metabolica aumenta nelle zone motorie quando muoviamo una mano, nelle zone della sensibilità quando una parte del nostro corpo viene accarezzata e nelle zone visive quando osserviamo un’immagine. Studi su volontari hanno dimostrato che la vista e il profumo di cibi appetitosi portano ad un aumento del 24% del metabolismo dell’intero cervello. Non è un dato di poco conto se si ricorda che il cervello è l’organo più assetato di energia del corpo, consumando qualcosa come il 25% del rapporto flusso sanguigno/energia consumata disponibile (G.L. Wenk, Your Brain on Food: How Chemicals Control Your Thoughts and Feelings. Oxford University Press, 2014). Sorprendentemente, vengono anche provocati cambiamenti piuttosto significativi nell’attività neurale se una persona osserva continuamente su un monitor l’immagine visiva statica di un alimento desiderabile (J. Wang, N. D. Volkow, F.K. Telang, et all. Exposure to appetitive food stimuli markedly activates the human brain. Neuroimage, 21: 1790-1797, 2004). Il metabolismo cerebrale valutato con esame PET nelle persone che osservavano alimenti particolarmente appetibili rispetto ad un gruppo di persone di controllo ha evidenziato come le misure metaboliche fossero significativamente più elevate in tutte le regioni del cervello nel gruppo di persone che osservavano il cibo (Fig. 3).

Fig. 3. Immagine cerebrali PET. In alto immagini di un soggetto che osserva del cibo (incremento del metabolismo associato al colore giallo-verde e rosso). In basso immagini di un soggetto del gruppo di controllo (prevalente il colore verde-blu).

Il cosiddetto “centro della fame e della sete” si trova in un’area profonda e mediana del cervello chiamata ipotalamo. E’ una sorta di centralina di collegamento tra il sistema nervoso autonomo che regola varie funzioni dell’organismo: la salivazione, il movimenti di esofago, stomaco e intestino e quello endocrino che gestisce il rilascio di ormoni. Tuttavia, in risposta ad uno stimolo visivo del cibo è stato dimostrato una maggiore attivazione delle aree frontali (aree motorie, ma anche quelle che “contengono” i nostri istinti), limbica (le zone della memoria e dell’apprendimento) e i nuclei striati (che attivano i movimenti non volontari così detti extrapiramidali). Questo a dimostrare che sono più aree cerebrali che vengono coinvolte dalla visione del cibo e questa attivazione cerebrale è maggiore nella donna rispetto al maschio. (A. M Chao, J. Loughead, Z. M. Bakizada et al. Sex/gender differences in neural correlates of food stimuli: a systematic review of functional neuroimaging studies. Obesity Review, 6:687-699, 2017).

Va anche detto che lo stimolo visivo e olfattivo sono molto importanti per stimolare l’apparato digestivo a ricevere il cibo. Un fenomeno essenziale per migliorare l’assunzione degli alimenti e iniziarne la digestione è quello della salivazione. La secrezione salivare è prevalentemente un fenomeno riflesso, che origina dall’attivazione di meccanocettori e chemiocettori posti nella cavità orale, i quali attraverso vie afferenti inviano treni di potenziali d’azione al VII e IX paio di nervi cranici. Tale riflesso è innato, ovvero incondizionato (periferico). Tuttavia la secrezione salivare può essere attivata anche da riflessi condizionati (centrali), acquisiti con l’esperienza. Il riflesso centrale della salivazione fu scoperto dal medico fisiologo russo Ivan Petrovič Pavlov (Premio Nobel per la Medicina nel 1904) nei suoi celebri esperimenti sui cani nei quali aveva osservato che ogni qualvolta si presentava con del cibo di fronte al cane, questo cominciava a salivare (Fig.4). Pavlov chiamò questo fenomeno “riflesso di salivazione” a cui oggi ci riferiamo come riflesso pavloviano (I. P. Pavlov. I riflessi condizionati. Bollati Boringhieri, Torino 2011).

Fig. 5. Ivan Petrovič Pavlov con i suoi collaboratori

Esiste il pericolo che la nostra crescente esposizione a immagini di cibo ben presentate abbia conseguenze dannose

Come abbiamo detto, la visione continua di cibi “virtuali” al giorno d’oggi, e la serie di risposte neurali, fisiologiche e comportamentali ad essa collegate, sono in grado di esacerbare troppo spesso la sensazione di fame. A causa della crescita esponenziale della disponibilità di interfacce digitali e media audiovisivi in questi ultimi anni, l’esposizione dei consumatori al bombardamento mediatico del mondo pubblicitario in modo particolare nel settore alimentare è andata continuamente aumentando. Insomma, ogni giorno, il pubblico dei telespettatori è influenzato da immagini di cibi sempre più appetitosi (tipicamente ipercalorici). Prendiamo ad esempio alcuni fattori che nella vita di tutti i giorni possono provocare la fame più spesso di quanto non sia necessaria:

  • la pressione pubblicitaria che le multinazionali del “food” impongono sui giornali e in televisione;
  • la crescita diffusa della popolarità dei programmi televisivi che presentano procedure di cottura di piatti ben rappresentati e dall’aspetto succulento;
  • i cosiddetti “talent shows” dove gruppi di apprendisti chef partecipano a veri e propri concorsi di alta cucina accompagnati da altissimi livelli di ascolto;
  • l’ossessione del pubblico della sala da pranzo e nei ristoranti di scattare fotografie del piatto contenente ciò che stanno per mangiare, condividendo spesso quelle immagini tramite i loro social networks.

Questa continua presenza sui mezzi d’informazione di alimenti “stuzzicanti” (Fig.5a, Fig. 5b), etichettata come “food porn”, è sicuramente in grado di stimolare il nostro desiderio di cibo, ciò che chiamiamo “fame visiva” ovvero una serie di risposte fisiologiche, psicologiche e di attenzione visiva, in grado di stimolare il cervello e renderlo affamato.

Fig. 5a. Hamburger succulento e appetitoso.
Fig. 5b. Stuzzicanti patatine fritte con ketchup.

Quello che abbiamo considerato finora è come il cervello umano sia l’organo più esigente del corpo in termini di consumo di energia e che una delle sue funzioni primarie sia quella di trovare fonti di cibo nutrienti. È a questo punto che dobbiamo concentrarci sul volto mutevole del panorama alimentare dell’uomo nel corso del XX secolo: da cacciatore-raccoglitore che si evolve per mezzo della selezione naturale, egli ha modificato il suo comportamento fino a diventare un super consumatore, il principale predatore delle risorse naturali del pianeta. La nostra ricerca di cibo non avviene più in natura, ma richiede una produzione di alimenti in modo industriale (J. Sobal, B. Wansink. Kitchenscapes, Tablescapes, Platescapes, and Foodscapes: Influences of Microscale Built Environments on Food Intake. Enviroment and Behaviour, 1:124-142, 2007).

Un altro aspetto molto importante è relativo alle abitudini di vita dell’uomo nei paesi civilizzati. Osserviamo prima di tutto come spesso intere fasce di popolazione siano, per motivi diversi, poco dedite al movimento con un comportamento di tipo prevalentemente sedentario. Inoltre riscontriamo un’assoluta carenza culturale in molte aree dei paesi più sviluppati rispetto la conoscenza degli alimenti, la loro provenienza e tradizione. In ultimo sempre più ore vengono trascorse nei luoghi di lavoro, sottraendo il tempo dedicato a cucinare da sè i propri pasti, facendo preferire l’acquisto di cibi preconfezionati.

L’incremento di persone affette da obesità nei paesi sviluppati è uno dei segnali che l’umanità non stia facendo un buon lavoro in termini di ottimizzazione del panorama alimentare contemporaneo. È evidente che l’eccesso di offerta di cibo abbia portato al crescente aumento dell’obesità riscontrata in molti dei paesi del mondo sviluppato (M. Moss. Salt, sugar, fat: How the food giants hooked us. W.H. Allen, 2013). Come abbiamo detto, la nostra fame fisiologica è stimolata più spesso del necessario, a causa della serie di risposte neurali, fisiologiche e comportamentali legate alla visione del cibo. Tenuto conto che una percentuale crescente della popolazione mondiale vive in ambienti obesogenici, questo non sembra aiutare a risolvere alcune malattie legate al cibo come per esempio il diabete e le malattie cardio vascolari. Ecco come la necessità di discutere e comprendere l’importanza della presentazione visiva del cibo sia oggi importante in termini di orientamento delle popolazioni verso comportamenti e scelte alimentari più appropriati. Un argomento di grande rilievo se teniamo conto che alcune delle maggiori sfide che l’umanità deve affrontare siano relative al reperimento e distribuzione del cibo e, allo stesso tempo, al consumo eccessivo di carne, uso delle risorse naturali, gestione dell’acqua per non parlare delle conseguenze ambientali legate alla produzione di tali alimenti.

Conclusioni

Una delle funzioni primarie, o sfide, affrontate dal cervello è trovare cibi nutrienti ed evitare di ingerire quelle sostanze che possono essere velenose o altrimenti dannose. Mentre i sensi del gusto, dell’olfatto e del tatto sono essenziali per giudicare l’appetibilità di un cibo, è la vista che fornisce un mezzo molto più efficace per la corretta alimentazione, decidendo gli alimenti probabilmente più sicuri e nutrienti e influenzando le abitudini del consumatore. La neuroscienza contemporanea dimostra quale potente indizio può essere la vista di cibi appetitosi per il cervello, specialmente il cervello di una persona affamata.

Un’attenzione particolare merita sicuramente uno sguardo più attento nel ridurre la prevalenza di immagini di cibi ad alto contenuto di grassi. Negli anni a venire, individuare metodi d’informazione alimentare corretti diventerà probabilmente sempre più importante per quelli di noi che sono abbastanza “fortunati” da essere circondati da un’abbondanza di cibo, sia reale che virtuale.

Un altro lavoro che occorre fare è quello culturale. Il cibo rappresenta un patrimonio antico ed è un viaggio nella storia e nella memoria. Ammirare un bel banco di verdure al mercato genera piacere se accompagnato dalla conoscenza di come quegli alimenti sono stati prodotti. Mangiare non è ingurgitare cibo per sopravvivere o saziare il cervello affamato, ma è anche un’occasione conviviale, una celebrazione di legami affettivi, una rappresentazione rituale e un modo di tenere vive tradizioni culturali e famigliari.

Il ruolo che il cibo gioca nell’aiutarci a vivere una vita lunga e sana è fondamentale. Una delle sfide chiave riguarderà la capacità che i nostri sistemi sensoriali avranno di gestire il rapporto tra la necessaria ricerca del cibo ed il panorama alimentare in rapida evoluzione, spesso superiore al fabbisogno, in cui la tecnologia sarà cruciale nell’influenzare le nostre decisioni consapevoli e automatiche.

Occhiocapolavoro

Dott. Giuseppe Trabucchi  – Medico Chirurgo – Specialista in Clinica e Chirurgia Oftalmica

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Iscrizione Ordine dei Medici Chirurghi di Milano n. 25154